Si fa certo un grave torto ad accumunare le critiche all’”operazione Costi-Benefici” in corso, da parte di tre professori con grande esperienza nel settore, e che certo non hanno né opinioni né toni polemici sovrapponibili: Angela Bergantino sul Sole-24Ore, Ennio Cascetta sul Mattino di Napoli e Paolo Costa in diverse importanti occasioni.

Tuttavia la critica di base che sui cui tutti e tre sembrano concordare è che l’ABC per singoli progetti è operazione troppo limitata, che manca di una visione strategica che dovrebbe essere collocata a monte. Una sorte di “miopia economica”. Un lettore malevolo potrebbe certo vedere un filo di “benaltrismo” in questa critica, ma proviamo ad entrare nel merito, ovviamente molto in breve.

Prima osservazione: hanno certamente ragione. Sarebbe meglio di disporre di un piano multimodale strategico, che tenga pienamente conto delle interazioni tra progetti e settori, valuti alternative ed “effetti rete”, statici e dinamici.

“But there is the rub”, cantava il bardo. Questo piano deve essere adeguatamente quantificato con una modellistica aggiornata, sia a livello macro che microeconomico. I modelli disponibilisono molteplici, e certo multisettoriali, non unicamente trasportistici. Quindi concordati con la modellistica economica nazionale, pena gravi incongruenze nelle assunzioni di base ecc..

Poi deve articolarsi a livello micro con analisi specifiche (l’esempio fino ad oggi più brillante di questo secondo step è oggi probabilmente il piano Eddington inglese, particolarmente efficace nel confronto sistematico tra “megaprojects” ed interventi minori).

Se il piano macro non è adeguatamente quantificato, ed i modelli adeguatamente calibrati in modo statico e dinamico, si ricade pienamente nell’”arbitrio del principe”, illuminato e benevolo (con i soldi altrui). E se manca il secondo step delle analisi micro (costi-benefici), l’arbitrio si estende ovviamente anche alle singole opere (rischi di cattura da collegi elettorali e gruppi di interesse vari).

E non sarebbe finita qui: il piano è complesso da costruire e calibrare, quindi non rapido. Inoltre non può certo essere un “una tantum” che finisce in un cassetto (molti ne abbiamo visti). Deve essere applicato con continuità a decisioni che evolvono nel tempo, a realtà politiche mutevoli, ad anche alla (rapida) evoluzione delle tecnologie e della domanda.

Mai porsi limiti, certo: ma è indubbio che nella realtà italiana lo scenario scivola verso la fantascienza.

La prima domanda è allora: visto che le banali analisi costi-benefici in corso oggi rappresentano, con tutti i loro limiti, una operazione di totale continuità logica con l’amministrazione precedente, perché non si è in tre anni nemmeno iniziato a quantificare qualcosa a livello strategico? Un semplice quadro finanziario del settore (entrate ed uscite, anche proiettate al futuro), data la scarsità delle risorse disponibili? Perché per l’ambiente non si sono valutati i costi di abbattimento nei diversi settori e per diverse politiche possibili, anche all’interno del settore trasporti?

Non sembrano analisi quantitative aggregate particolarmente complesse, e ce ne sono sicuramente altre altrettanto importanti.

Ma certo un piano strategico di infrastrutture è stato redatto, e pubblicato (“Connettere l’Italia”). In termini quantitativi analizza i costi, che ammontano per le opere definite “strategiche”, cioè sottratte per loro natura ad analisi di qualsiasi tipo, a 132 miliardi di euro. Tuttavia questo “piano strategico” (definibile nel linguaggio internazionale come una perfetta “shopping list”) non quantifica niente altro: quei progetti non necessitano nemmeno di analisi finanziarie o di previsioni di traffico. L’aggettivo “strategico” li esenta da tutto.

Ora, sembra verosimile che analisi costi-benefici, con tutti i loro (reali) difetti pratici e metodologici, siano definitivamente meglio di niente. Sono del tutto neutrali? Nessuno è perfetto, ma certo più negoziabili e criticabili da terzi che infiniti elenchi di opere promesse, che ovviamente hanno messo in moto altrettanto infinite attese politiche ed industriali, di cui si vedono oggi le vivacissime reazioni mediatiche, alcune spinte fino a pesanti attacchi personali.

Prima di tornare all’auspicato megapiano strategico, un inciso tecnico: il progetto Alta Velocità è certo stato un successo di utenza (“una visione strategica!”). Ma l’assenza di analisi degne di questo nome ne ha reso i costi pubblici stratosferici, e questo nel contesto italiano non può essere ignorato come un incidente di passaggio: ha pesato molto sul debito del paese, e con adeguate analisi di alternative meno costose ma con risultati del tutto paragonabili poteva forse costare molto meno ed arrivare prima a compimento (chi scrive ci provò invano, era il periodo del “noi non badiamo a spese”. Era anche il periodo degli appalti senza gara affidati poco prima delle scadenze europee).

Ora, tornando a più bassa cucina, e per concludere: che fare?  L’alternativa è ricadere in una nuova e diversa shopping list di opere anch’esse “strategiche”, con l’arbitrio di un diverso principe, con obiettivi politici diversi? O aspettare il megapiano perfetto?

Fare un po’ di conti, se ricorda, per chi li fa in questo caso, ha anche due altri obiettivi non meno rilevanti che supportare (eventualmente!) alcuni meccanismi decisionali: il primo è migliorare il dibattito, cercando di renderlo più informato e “contendibile”. Verosimilmente meglio di fare liste…Il secondo, interno alla sfera politico-amministrativa che mostra in Italia un livello davvero modesto nel campo dell’”accountability”, è quello di abituare a fare i conti, quando si tratta di (tanti) soldi dei contribuenti.

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