I servizi pubblici, spesso anche considerati “beni comuni”, si dividono in due gruppi fondamentali dal punto di vista della loro gestione: quelli che potrebbero esser messi in concorrenza (si pensi appunto ai trasporti pubblici, in molti paesi sono in concorrenza, o alla concorrenza che si fanno scuole e ospedali pubblici e privati, o anche servizi sportivi), e quelli dove proprio non si può (i cosiddetti “monopoli naturali”, quali linee ferroviarie, reti idriche ecc. cioè le infrastrutture fisiche). Per questi ultimi si può solo pensare o a una gestione pubblica diretta, o ad una messa in gara periodica (o forme simili di regolazione pubblica).
Per gli altri servizi pubblici, incluso il TPL, oltre alla gestione pubblica diretta e alla messa in gara periodica, c’è anche l’ipotesi di una vera liberalizzazione (nota come “competizione nel mercato”, mentre la messa in gara periodica si chiama “competizione per il mercato”). Quest’ultima, si ricorda, prevede un monopolio temporaneo (di solito da 5 a 10 anni), deciso nelle sue caratteristiche da soggetti pubblici, spesso enti locali, che sussidiano i gestori per consentire basse tariffe a tutti gli utenti, raramente distinguendo tra ricchi e poveri (si pensi alle tariffe dei trasporti locali in città ricche).
Una vera liberalizzazione invece significherebbe molto minori ingerenze del pubblico, al di là di certificare la sicurezza del servizio e la trasparenza e correttezza delle informazioni su tariffe, orari ecc., come per qualsiasi servizio privato. Della socialità, verrebbe garantito un solo aspetto: il sussidio alle categorie meno abbienti, alle quali la collettività può rimborsare in tutto o in parte i costi del servizio erogato da soggetti privati (o anche pubblici, se in grado di competere nel mercato).
A fronte di questa unica pur importante dimensione sociale tutelata (i costi agli utenti) ci sono anche molti vantaggi da considerare rispetto alle gare.
Non c’è un monopolio neppure temporaneo: se c’è della domanda non servita, o profitti eccessivi, o scarsa qualità del servizio, entreranno subito in gioco dei concorrenti. Inoltre se apparisse all’orizzonte un operatore con una importante innovazione tecnologica che migliorasse il servizio, entrerebbe in azione subito. Non solo, i suoi concorrenti dovranno adeguarsi, pena l’uscita da quel mercato. Magari, se la tecnologia è in proprietà esclusiva, abbassando i prezzi.
Nel caso dei trasporti pubblici, come esempio per chiarire, immaginiamo che si presenti un concorrente che dispone di un’app esclusiva che consente di “parlare” con gli utenti in tempo reale, riducendo tempi di attesa e di viaggi, riprogrammando di continuo fermate e corse (questa tecnologia tra l’altro è di imminente disponibilità). Si metterebbe in azione subito, non aspettando la scadenza e le incertezze implicite di una gara.
Ma anche l’area geografica in cui si estende il servizio può estendersi liberamente in funzione della domanda, per esempio ancora nei trasporti, con linee dirette che rompono l’attuale assurda barriera, solo amministrativa, tra città e aree esterne.
Ma forse i vantaggi principali sarebbero legati alla scomparsa dei rapporti, oggi strettissimi, con amministrazioni pubbliche che troppo spesso non hanno affatto ai vertici dei loro obiettivi la soddisfazione dell’utenza, ma il controllo politico delle imprese che forniscono i servizi, e, nel migliore dei casi, i voti dei dipendenti diretti e di quelli dei fornitori (questo fenomeno si chiama “cattura”, o più prosaicamente “voto di scambio” legale).
Per le forniture poi, che pesano moltissimo sui costi e la qualità dei servizi di trasporto, il quadro cambierebbe molto più radicalmente ancora. Infatti in una situazione di monopolio sussidiato, il sapere che comunque alla fine l’ente pubblico pagherà e l’impresa di cui si è responsabili degli acquisti non può fallire, induce spesso questi funzionari ad avere atteggiamenti rilassati, fino a diventare “troppo amici” dei fornitori. Un’impresa privata in concorrenza invece sarebbe certo assai meno “amichevole”: esigerebbe prezzi bassi e forniture eccellenti, non certo perché “ama gli utenti”, ma per cercare di battere i concorrenti! Ma forse amerebbe davvero di più gli utenti, essendo questi la maggior fonte, o addirittura l’unica, dei ricavi e dei suoi possibili profitti, per definizione incerti.
Quindi i fenomeni di corruzione avrebbero fortissimi “freni automatici”: per intenderci, se il capo acquisti danneggia l’impresa facendosi corrompere dai fornitori, ci pensa il padrone a licenziarlo.
Questo spiega bene anche il perché anche il rilevantissimo settore dei fornitori di aziende che erogano pubblici servizi in monopolio sia contrarissimo ad una piena liberalizzazione.
E gli utenti? Si smetterebbe di sussidiare anche i ricchi, come abbiamo visto succedere spesso nel TPL, e i sussidi sarebbero flessibili nel tempo, consentendo di soddisfare nuove categorie in difficoltà (si ricorda che anche la situazione dei bisogni sociali tende ad evolvere nel tempo).
Per concludere, forse occorre mettere sul tavolo, per una aperta discussione politica senza preconcetti secolari, uno slogan davvero paradossale: “E se nemmeno le gare fossero il miglior modo per rendere più efficienti ed efficaci i trasporti pubblici?”
Marco Ponti