27 febbraio 2022
di Francesco Ramella
Avanti tutta con le rinnovabili. Avremo così un doppio dividendo: salveremo il clima, priveremo di risorse preziose un regime autoritario e corrotto come quello di Putin e raggiungeremo la tanto agognata indipendenza energetica. In più, risparmieremo anche sulle bollette.
Troppo bello per essere vero. La realtà è assai più complessa.
Esaminiamo il caso della Germania. È il Paese europeo che finora con più decisione ha puntato sulle rinnovabili, con investimenti pubblici cumulati che si avvicinano ai 500 miliardi. Ed è anche il Paese che, prima degli stravolgimenti di questi ultimi mesi, faceva registrare i più alti prezzi della elettricità per i consumatori: nel primo semestre del 2021, un chilowattora veniva pagato 0,32 €, il valore più alto in tutta Europa, il 40% in più rispetto all’Italia e il 50% in più della Francia.
La Germania è, inoltre, il Paese verso il quale affluisce la quota maggiore del gas russo che soddisfa oltre la metà del suo fabbisogno. E che, fino al blocco delle procedure autorizzative voluto dal cancelliere Scholz, era pronto a “raddoppiare” con l’apertura di un secondo gasdotto che va dalla costa baltica alla Germania, gemello del Nord Stream 1, in funzione da più di un decennio.
Non solo. Se guardiamo all’aspetto ambientale scopriamo che, per ogni chilowattora consumato, le emissioni di anidride carbonica, pur in forte diminuzione rispetto al passato, sono molto al di sopra della media europea e quasi sei volte quelle della Francia.
Pesa su tale divario la decisione di uscire dal nucleare e il ruolo ancora rilevante del carbone nella produzione di energia elettrica.
Non è diversa la situazione dell’Italia. Il legame divenuto sempre più stretto con la Russia per il soddisfacimento del nostro fabbisogno energetico, oltre che da fattori internazionali fuori del nostro controllo, dipende anche dal nostro “no” al nucleare. E la situazione sarebbe ancora più intricata se avesse prevalso l’opposizione al TAP che, invece, oggi potrebbe essere opportuno raddoppiare.
Nell’immediato, come ha affermato venerdì il presidente del consiglio, Mario Draghi, intervenendo alla Camera sul conflitto tra Russia e Ucraina, “potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell’immediato”. Ma, se prendiamo sul serio la necessità della decarbonizzazione, si dovrebbe trattare di una misura eccezionale e di breve respiro.
Del gas, invece, non è possibile fare a meno. Possiamo farlo arrivare via nave ma, come ha scritto Massimo Nicolazzi sul Foglio, dovremo affrontare una dura competizione perché non approdi altrove, e poi estrarre la modica quantità disponibile sul nostro territorio. Ma anche qui la strada pare in salita: il partito del no sembra essere più agguerrito che mai e, paradossalmente, oggi ne sono vittime le stesse fonti rinnovabili. D’altra parte, neppure queste, ad osservarle con un minimo di disincanto, sono esenti da controindicazioni: oltre alla non programmabilità, ci sono da mettere in conto gli effetti negativi locali, consumo di suolo e impatto sul paesaggio. E non mancano le implicazioni su più vasta scala: ridurre il consumo di fossili significa aumentare quello di altre risorse.
Per farla breve, non ci sono pasti gratis. Ogni scelta comporta opportunità e rischi in termini economici, ambientali e politici e di sicurezza, rischi che non sempre sono valutati correttamente. Nel caso del nucleare, ad esempio, il punto debole non è la pericolosità, che è paragonabile a quella delle rinnovabili, ma la tendenza nei Paesi occidentali alla lievitazione dei costi di costruzione degli impianti.
Le pallottole d’argento sono una pericolosa illusione. Come per qualsiasi altro investimento, mettere tutte le uova nello stesso paniere è sbagliato sia in termini di approvvigionamento sia per la decarbonizzazione. La sfida più difficile forse è proprio quella di tenere aperte tutte le porte, “correggendo” le scelte del mercato per tenere in conto delle esternalità generate dalla produzione di energia, ma non sostituendosi ad esso nell’illusione di avere sufficienti informazioni per decidere nel modo migliore.