31 maggio 2022
di Francesco Ramella
Il calendario è fissato. Dopo un rinvio a causa della pandemia, dal prossimo primo ottobre entreranno in vigore i nuovi divieti di accesso all’area B, la zona a traffico limitato attiva dal febbraio 2019 che copre gran parte del territorio della città di Milano. Già oggi non possono accedervi le auto a benzina Euro 0 e 1 e i diesel a standard fino a Euro 3. Tra quattro mesi saranno esclusi gli Euro 2 a benzina e i diesel Euro 4 e 5. Poi sarà un “crescendo” con restrizioni via via più ampie che nel 2030 interesseranno anche le auto alimentate a gasolio conformi allo standard più recente oggi in vigore, l’Euro 6.
L’inquinamento non aumenta, eppure…
Si tratta di un provvedimento auspicabile? La finalità è quella di migliorare la qualità dell’aria nella città che, peraltro, pur non rispondendo ancora appieno a quanto previsto dalla normativa comunitaria è notevolmente migliorata rispetto ai decenni passati, probabilmente all’insaputa della maggior parte dei milanesi (secondo un sondaggio di Eurobarometro il 74 per cento degli italiani è convinto che l’inquinamento sia in aumento).
Vediamo nel dettaglio i dati relativi ai due principali inquinanti: le polveri sottili (PM10) e il biossido di azoto (NO2).
Vent’anni fa nella stazione di rilevamento che faceva registrare la situazione peggiore nel capoluogo lombardo, la concentrazione media annua di PM10 era pari a 59 μg /m3. Da allora (ma in realtà il miglioramento era in atto già da un paio di decenni), si è assistito a una progressiva riduzione: negli ultimi quattro anni il livello registrato è inferiore a quello prescritto dalla normativa. E il numero di giorni nei quali viene superato il livello di 50 μg/m3 si è più che dimezzato. Analoga tendenza si è manifestata per il biossido d’azoto: nella stazione più critica, quella di Viale Marche, la concentrazione media annuale è scesa da 86 μg/m3 nel 2000 a 48 nel 2020.
Tale evoluzione positiva è da ricondursi in larga misura ai progressi tecnologici nel settore del trasporto stradale e negli altri settori.
Basti pensare che un’auto a gasolio Euro 6 emette in condizioni reali di guida circa ventisette grammi di ossidi di azoto a fronte di oltre quattromila di una Euro 0. In altri termini, una sola autovettura commercializzata trenta anni fa inquinava come centosessanta di quelle odierne.
Un provvedimento esagerato
Tale dato dovrebbe suscitare qualche perplessità in merito al provvedimento adottato che nel lungo termine pone sullo stesso piano, prevedendo per tutti il divieto di circolazione, mezzi che dal punto di vista dell’impatto sulla qualità dell’aria sono diversissimi. È un po’ come ritirare la patente a chi guida a una velocità molto superiore al limite previsto e a chi lo supera appena.
In altri termini, per avere lo stesso risultato sulla qualità dell’aria, è oggi necessario precludere la possibilità di utilizzo di un numero di veicoli di gran lunga superiore rispetto al passato e, quindi, imporre un costo parimenti più elevato. Il divieto implica due conseguenze: o la rinuncia a effettuare lo spostamento e la perdita dei benefici ad esso associati oppure la necessità di sostituire il proprio mezzo prima di quanto il proprietario avrebbe volontariamente scelto.
Un divieto daltonico
Ma c’è un ulteriore elemento da tenere in considerazione: il divieto non è “daltonico” solo con riferimento alla tipologia di veicoli ma lo è anche in relazione alla utilità dello spostamento. Ve ne sono alcuni che sono più necessari e altri che lo sono di meno: il provvedimento adottato dal comune di Milano e da molte altre città, li pone entrambi sullo stesso piano.
Alla luce di quanto detto sopra, non stupisce molto il risultato di una recente valutazione degli impatti della “zona a basse emissioni” adottata nella città di Stoccolma: i costi sociali causati dal divieto di accesso ai veicoli a gasolio sono stati stimati pari a più di dieci volte i benefici ambientali ottenuti.
Troppo zelo, signor sindaco
Il provvedimento dell’amministrazione meneghina sembra dunque peccare per eccesso di zelo. Una misura alternativa che consentirebbe di discriminare in modo più accurato in base all’effettivo impatto ambientale dei veicoli e all’utilità dei singoli spostamenti sarebbe quella di prevedere per chi circola all’interno dell’Area B il pagamento di un ammontare equivalente al danno arrecato dalle emissioni. Si tratterebbe cioè di applicare il principio, sostenuto almeno in via teorica dalla UE, del “chi inquina paga”. Ed è la stessa Commissione Europea a stimare quale dovrebbe essere questo corrispettivo: la tariffa dovrebbe essere intorno ai sette centesimi per chilometro percorso per un’auto Euro 0 e a meno di un centesimo per un Euro 6. Nel primo caso chi dalla periferia di Milano raggiungesse il centro della città dovrebbe pagare cinquanta centesimi e sette dovrebbero essere addebitati ai veicoli più recenti.
In termini operativi si tratterebbe di estendere all’intera città il regime già vigente all’interno della Cerchia dei Bastioni (“Area C”) e di adottare livelli tariffari che tengano conto oltre che dell’impatto sulla qualità dell’aria anche di quello sul rumore, delle emissioni di CO2 e sulla congestione che, nelle aree più dense, rappresenta il costo maggiore.
Nella definizione della tariffa occorrerebbe scontare l’elevato prelievo fiscale che già oggi grava sull’uso dell’auto e che nel caso dei mezzi più recenti è superiore agli impatti ambientali generati.