27 luglio 2023
di Francesco Ramella
“Senza precedenti”. Spesso e volentieri la narrazione odierna degli eventi estremi contiene questa dizione. Nella maggior parte dei casi non è scientificamente corretta. Eventi del tutto paragonabili a quelli attuali sono già accaduti in passato. Non è mai esistito un clima buono reso cattivo dalle emissioni antropiche. Per averne conferma è sufficiente consultare l’archivio di un qualsiasi quotidiano. Facciamo solo un paio di esempi. Su La Stampa del 27 giugno 1982 si trovano questi titoli: “caldo soffocante e incendi nel Meridione, quaranta feriti per i nubifragi al nord”; “due bambini morti in Sicilia stroncati dalla grande calura”; “Milano, strade bloccate dalla pioggia. Il vento ha spezzato decine di alberi”; “Novara allagata”; “Tromba d’aria sul lago Iseo: giovane morto”; “Nel Vercellese in dodici minuti caduti 30 centimetri di grandine”; “Morto un agente per il caldo in Sardegna”; “Binari bollenti, c’è il rischio di deragliare”. O, per risalire più indietro, su Stampa Sera del 6 luglio 1965 si legge: “la furia del tornado su Emilia e Veneto. Duemila case danneggiate a Vicenza”; “Furioso temporale su Milano: due morti”; “Le grandinate devastano le campagne del Piemonte”; “A 110 all’ora le raffiche su Ferrara”; “Tre auto scagliate dal vento nei campi che costeggiano l’autostrada del Sole”.
Altrettanto sbagliato è il sostenere, come fanno coloro che stanno nella curva opposta a quella nella quale si agitano i catastrofisti, che il clima è sempre cambiato e, dunque, non c’è nulla di cui preoccuparsi. Il clima è sempre cambiato ma da centocinquanta anni le attività umane hanno aggiunto un ulteriore elemento di perturbazione. Che, ci dice l’IPCC, ha già avuto effetti in termini di aumento della temperatura media della Terra e di frequenza delle ondate di calore e di riduzione dei periodi di freddo anomalo. Ma, contrariamente a quanto siamo abituati a leggere sui mezzi di informazione, è sempre l’IPCC a sostenere vi è un “bassa confidenza” (equivalente a due possibilità su dieci che la tesi sia corretta) nel fatto che vi sia già oggi un segnale di un impatto del cambiamento climatico oltre la variabilità naturale per la maggior parte dei fenomeni estremi comprese le forti precipitazioni, le grandinate, la siccità, le tempeste di vento, i cicloni tropicali e le inondazioni costiere. E, per molti di questi, non è atteso che il segnale emerga neppure negli scenari futuri peggiori e oggi più inverosimili.
Abbiamo dunque a che fare con due opposti estremismi: da un lato chi nega sia in atto un cambiamento climatico, dall’altro chi attribuisce ad esso ogni singolo fenomeno e che, spesso, si dimentica di evidenziare che oggi, grazie all’accumulo di conoscenze scientifiche e alla disponibilità di risorse economiche molto superiori a quelle del passato, siamo in grado di proteggerci dal clima avverso come mai avvenuto prima. A scala mondiale, nell’ultimo secolo, il tasso di mortalità per eventi estremi si è ridotto drasticamente (oltre il 90%). E, sempre gli studi scientifici (ma non i mezzi di informazione), ci dicono che grazie a politiche di adattamento si potrà far fronte efficacemente a buona parte degli effetti del cambiamento climatico attesi per i prossimi decenni. Occorre, soprattutto come “polizza di assicurazione” per il lungo periodo, anche ridurre le emissioni (e i Paesi più ricchi lo stanno già facendo da un paio di decenni) ma non whatever it takes come vorrebbero gli apocalittici. Questi ultimi, più che preoccupati del cambiamento climatico, sembrano spesso vederlo come un’opportunità da non perdere per rivoluzionare una società che a loro non aggrada. Si tratta di un approccio che nel medio termine rischia di essere controproducente perché rischia di privare le politiche di decarbonizzazione del necessario consenso. Descrivere il problema in termini corretti e valutare costi e benefici delle politiche sembrerebbe un approccio preferibile allo spaventare al punto tale da indurre molti giovani a non avere figli temendo un futuro catastrofico e illudere che ci siano pasti gratis.