Prefazione di Roberto Perotti al volume di Marco Ponti “Per una politica dei trasporti“
Lo confesso: sono un pendolare. Da venti anni prendo il treno da e per Milano. Qualche decina di chilometri di una linea praticamente dedicata fino a Monza: i treni vanno avanti e indietro su quella linea, niente incroci o “nodi ferroviari”. Non credo di essere in vita mia mai arrivato in orario. Dopo anni di lavori la linea è stata anche raddoppiata, eliminando alcune tratte a binario singolo. Non ho statistiche, ma la mia impressione è che i ritardi siano aumentati. Non so chi paga il biglietto, perché il controllore si vede una volta su dieci. E mentre una volta doveva solo punzonare un biglietto cartaceo, ora per ogni biglietto elettronico ci mette un tempo infinito. Le toilette sono imbarazzanti. Si attraversano stazioni che sembrano discariche bombardate. Ogni tanto sulla linea arriva qualche treno nuovo di pacca: mi è capitato di rivederli poco dopo completamente ricoperti di graffiti, dalla motrice all’ultima carrozza, decine di metri ininterrotti di imbrattamenti che neanche si vede più fuori dai finestrini. E mi chiedo: per un lavoro del genere ci vogliono ore o giorni, è semplicemente impossibile non riuscire a impedirlo, se solo si vuole. E poi la fatidica domanda: “questi non sanno fare funzionare decentemente delle linee dedicate che ogni giorno trasportano al lavoro – non alla spiaggia – centinaia di migliaia di persone, non sanno proteggere dei treni in deposito da pochi ragazzini vandali, ma vogliono investire miliardi per altavelocizzare linee su cui non viaggia quasi nessuno?”
Col tempo ho imparato a trasformare la “rabbia dei pendolari” (una patologia che Freud e Jung ignoravano ma che gli psicologi moderni dovrebbero indagare) in rassegnazione. Poi capitano libri come questo, che risvegliano antiche passioni che si credevano sopite. Per persone come noi, sono manna dal cielo.
Se c’è una costante di questo libro è il richiamo ad una seria analisi costi–benefici in materia di trasporti, a una politica economica basata sui dati (“evidence-based policymaking”, ma di questi tempi meglio limitarsi all’italiano). Nella mia breve esperienza romana ho visto da vicino come tante decisioni, in materia di trasporti e non, venissero prese con il metodo del dito bagnato: leccarsi la punta dell’indice, metterlo all’aria per capire dove tira il vento, e stanziare (o più spesso promettere di stanziare) miliardi nel giro di pochi minuti.
La tipica risposta a questo richiamo a tenere i piedi per terra sono frasi del tipo: “il vostro è un atteggiamento da secchioni, da accademici che vivono nella loro turris eburnea (il latino è ben accetto e anzi incoraggiato, a ricordo dei fasti passati): la politica economica è fatta anche di visioni, di simboli, di orgoglio; di contatti con il territorio, con la gente, e tutti i sindaci della zona ci dicono che il Ponte sullo Stretto sarebbe utilissimo; i numeri sono secondari”. Nella interpretazione più benevola questa risposta riflette l’atteggiamento di persone benintenzionate ma un po’ ignoranti, o troppo pigre per informarsi seriamente, che per o più seguono la moda e il pensiero politicamente corretto. In quella intermedia è l’atteggiamento di chi ignora che ogni spesa ha un’alternativa, che tutto è bello e utile sulla carta ma magari quei soldi potrebbero essere destinati a qualcosa di più bello e utile; che se offri delle caramelle gratis a dei bambini ti diranno sempre che è un’ottima idea. Nell’interpretazione più malevola è la scusa del nuovo ministro dei trasporti del nuovo governo di turno per spendere soldi dove prende più voti, o dove spera di ingraziarsi più elettori.
Gli autori del libro sono consapevoli che i dati e una seria analisi costi-benefici non saranno mai completamente dirimenti in ogni situazione. Persone competenti e in buona fede possono dissentire su come interpretare gli stessi dati, su come impostare un’analisi costi- benefici, e quali conclusioni trarne. Nessuna persona intelligente, e tantomeno gli autori di questo libro, sosterrà mai l’illusione positivista che dati, numeri e un approccio serio metteranno tutti d’accordo. E tutti siamo consapevoli che la politica ha le sue regole, e che è perfettamente legittimo – oltreché inevitabile – che un politico insegua i voti.
Tutto vero, ma una base seria da cui partire è meglio di niente. Sembra una sciocchezza, ma alla lunga può fare tutta la differenza del mondo: gutta cavat lapidem – a meno che, ovviamene, dall’altra parte non ci siano persone che perseguono una propria agenda a cui non interessa niente del benessere collettivo. Ma che arma abbiamo, oltre che informare chi è disposto a informarsi? Qui sta la grande utilità di questo libro, con la sua messe di informazioni e di demistificazioni di tanti luoghi comuni.
Tra i tanti, voglio metterne in evidenza uno. Molti risponderanno che tante decisioni recenti su tanti grandi opere sono state prese con tutti i crismi, incluse accurate analisi costi-benefici. Niente di più falso. È vero che è stata presentata una documentazione copiosa e all’apparenza tecnicamente sofisticata – così copiosa e apparentemente sofisticata da essere convenientemente impossibile da digerire per un giornalista – , ma è servita solo ad arricchire qualche consulente ben disposto. In realtà si trattava di analisi benefici–benefici, in cui il risultato era positivo per costruzione; in altre parole, per la metodologia adottata era matematicamente impossibile trovare che i costi eccedessero i benefici (anche questo, peraltro, non avrebbe dovuto essere abbastanza per giustificare l’opera, perché magari un’altra opera avrebbe potuto dare benefici ancora maggiori, ma questo è un dettaglio….) Per non parlare del processo: incarichi di “valutazione” affidati a sedicenti esperti scelti e pagati dalla parte in causa; ipotesi incredibili che nessuno mai contesterà perché nascoste nella nota a pagina 300, ma che da sole forniscono la risposta desiderata dal committente, e via dicendo….
Ma nel libro c’è molto, molto di più ovviamente. Non è il solito elenco di lamenti: c’è una pars destruens assai informata, e una pars costruens ancora più importante, perché criticare è facile ma proporre soluzioni ragionevoli e realistiche è molto difficile. A questo proposito, un dettaglio importante per il lettore: gli autori sono tutti economisti con i fiocchi e controfiocchi, con una preparazione teorica inattaccabile. Ma allo stesso tempo è tutta gente che si è “sporcata le mani” sul campo, e, postremum sed non minimum (?), ha una perfetta conoscenza di come vengono fatte queste cose negli altri paesi, soprattutto in quelli all’avanguardia in questo campo.
Insomma, se volete capire, e avete una mente aperta, leggete questo libro. Non vi annoierete.