8 agosto 2025

di Marco Ponti

I centri urbani, soprattutto i maggiori, sono da sempre la residenza delle categorie a più alto reddito. I centri minori e i borghi rurali o più piccoli sono luoghi di insediamento delle categorie di reddito meno elevato, anche operaie.

Intorno alle città maggiori vivono spesso impiegati che lavorano nelle aree centrali (insieme a molti studenti universitari), e che generano estesi movimenti pendolari verso i capoluoghi. Le categorie a reddito più basso, che oggi coincidono sostanzialmente con gli extracomunitari, si insediano in modo “interstiziale” vicino ai loro luoghi di lavoro, spesso rurali ma anche urbani. I trasporti pubblici locali vedono il loro maggior uso nei grandi centri, mentre in tutte le aree a minor densità prevale la mobilità automobilistica, oggi alla portata della maggioranza dei lavoratori con contratti di lavoro stabili. Le maggiori città sono anche quelle meglio servite dalle ferrovie, sia per gli spostamenti occasionali (in particolare con l’Alta Velocità), che per i movimenti pendolari che abbiamo citato. Per inciso, sono ovviamente anche quelle meglio servite dal trasporto aereo.

I lavoratori extracomunitari non hanno accesso all’automobile, per ovvie ragioni di reddito, e per gli spostamenti di lunga distanza, spesso si servono dei servizi di autobus, più lenti ma più economici del treno, che, al contrario dei servizi ferroviari, non sono sussidiati. Ne consegue che le politiche pubbliche di sostegno al modo ferroviario e ai trasporti pubblici locali oggi vedono tra i beneficiari soprattutto i ceti urbani nelle città maggiori, ed i pendolari verso questi centri. Anche gli extracomunitari “urbanizzati” si servono molto dei trasporti pubblici.

Vediamo adesso le grandezze economiche in gioco per la mobilità. Il sostegno economico ai trasporti pubblici e alle ferrovie oggi raggiunge un valore complessivo rilevante, superando i 20 miliardi di euro all’anno.

L’imposizione fiscale sul modo automobilistico (soprattutto con le tasse sui carburanti) è ancora più notevole, generando alle casse pubbliche ricavi per più di 40 miliardi all’anno, al netto dei costi del sistema stradale e autostradale.

Questa pressione fiscale colpisce soprattutto i redditi medio-bassi esterni ai centri maggiori, che in questo modo percepiscono che i costi delle politiche ambientali ricadano soprattutto su di loro, mentre i residenti dei centri urbani siano favoriti dai trasporti pubblici sussidiati. Ritengono anche che questi ultimi siano i difensori “ideologici” delle politiche ambientali (si veda in proposito la categoria popolare nota come “radical chic”).

Si ricorda che il fenomeno francese delle proteste violente dei “gilet gialli”(di provenienza extraurbana) è stato originato proprio dall’aumento delle accise sui carburanti.

Anche un’analisi dell’Istat ha dimostrato che in proporzione al reddito, la fiscalità sull’automobile colpisce più i redditi medio-bassi, cioè è regressiva.

Invece il sostegno pubblico al modo ferroviario è in generale percepito positivamente, innanzitutto perché non è noto (vengono resi pubblici i profitti, ma quasi mai il fatto che questi avvengano a valle di sussidi rilevantissimi, che rimangono da ricercare all’interno di complicati documenti di bilancio).

Ma probabilmente pesa molto anche il fatto che i servizi ferroviari sono usati occasionalmente da utenti di ogni categoria di reddito, e quindi tutti beneficiano ogni tanto delle basse tariffe consentite dai sussidi. È invece correttamente percepito il fatto che la ferrovia sia un modo meno dannoso per l’ambiente. Infine, è un fatto evidente che il consenso politico per i partiti meno interessati all’ambiente, o cripto-negazionisti, si collochi soprattutto fuori dai maggiori centri urbani, dove è maggiore l’uso dell’automobile.

Questi partiti dichiarano che il “green deal” europeo è “ideologico”, il che per alcuni aspetti è vero, ma ben si guardano dal proporre alternative. Si ricordano in particolare gli slogan leghisti contro l’Europa e in difesa dell’automobile.

I partiti che esprimono elevate preoccupazioni ambientali e sostengono esplicitamente i trasporti pubblici hanno invece il maggior consenso nei grandi centri urbani. Di come si muovano i ceti più deboli, che non votano, non interessa molto a nessuno.