8 settembre 2025

di Francesco Ramella

Una volta i comunisti mangiavano i bambini. Ora i progressisti si limitano a metterne al mondo molti meno. La riduzione del tasso di fertilità è generalizzata: il tasso di fertilità medio nel Mondo è sceso negli ultimi sessanta anni da 5,3 a 2,3 figli per donna e, all’infuori dell’Africa, nella maggior parte dei Paesi si attesta da lungo tempo al di sotto del tasso di sostituzione ossia quello necessario perché la popolazione rimanga stabile nel tempo.

Ma, come ha messo in evidenza John Burn-Murdoch, commentatore e responsabile per l’analisi dei dati del Financial Times, la media del pollo nasconde nei Paesi occidentali una profonda divaricazione che si è manifestata negli ultimi trenta anni.

Sia negli Stati Uniti che negli altri Paesi a reddito più elevato fino agli anni ’90 dello scorso secolo il numero medio di figli era pressoché identico quale che fosse l’orientamento ideologico famigliare ma successivamente ha cominciato a divergere. Oltre Oceano, ad esempio, il tasso di natalità – anch’esso in calo – tra i conservatori è attualmente pari a 2,4 mentre quello dei progressisti si attesta a 1,8.

La preoccupazione manifestata dall’opinionista è che questa tendenza porti ad avere una società più reazionaria che, a suo dire, porterebbe a una restrizione della libertà individuale. A noi pare vero il contrario. Sono invece condivisibili le argomentazioni che Burn-Murdoch porta per provare a convincere i liberal che, a dispetto delle apparenze, più bambini sarebbero un bene e non una minaccia per il Pianeta.

L’assunto classico antinatalista è: ogni essere umano inquina, più esseri umani ci sono e maggiore è l’inquinamento. La tesi è corretta solo se tutte le altre condizioni non mutano. Più chilometri percorriamo in auto facciamo e più energia consumiamo e più l’aria che respiriamo si avvelena e la Terra si riscalda. A meno che non intervenga un altro fattore a sparigliare le carte. Questo elemento è la innovazione tecnologica che ha già consentito, tra le altre cose, di conseguire un radicale miglioramento della qualità dell’aria nelle nostre città nonostante che oggi ci muoviamo (e ci riscaldiamo e rinfreschiamo e consumiamo energia) molto di più che in passato ed è già all’opera anche per l’anidride carbonica, il gas responsabile del cambiamento climatico. Nei Paesi più ricchi, le emissioni totali sono in calo da almeno un paio di decenni.

Sono invece ancora in aumento nel resto del Mondo e non senza ragione: il miglioramento delle condizioni di vita attuali è giudicato un bene maggiore rispetto alla riduzione di un impatto che, pur non trascurabile, è però un fattore secondario nel determinare le condizioni di vita che sono più strettamente correlate al livello di reddito che alla temperatura del pianeta o alla frequenza degli eventi estremi.

Per non buttare il bambino della energia abbondante con l’acqua sporca delle emissioni, occorre un ulteriore sforzo di ricerca per ridurre il costo e aumentare l’affidabilità della produzione decarbonizzata. Ed è qui che fa capolino la seconda argomentazione di Burn-Murdoch: una società più vecchia è anche meno propensa a innovare.

A dire il vero non si tratta di una tesi particolarmente originale e ricorda quella di Julian Simon, l’economista statunitense che a cavallo degli anni ’80 e ’90 del secolo scorso più volte duellò intellettualmente con Paul Ehrlich, il sostenitore della tesi secondo cui la “bomba demografica” ci avrebbe portato al collasso nell’arco di pochi decenni.  Scriveva Simon che ogni uomo in più che si affaccia sulla Terra è, sì, una bocca in più da sfamare ma, al contempo, porta con sé due braccia che possono lavorare e, soprattutto, un cervello per pensare.

La popolazione, ha sostenuto nel suo libro più famoso, lungi dall’essere un problema è, al contrario di quelle naturali, l’unica vera risorsa finita.

D’altra parte, è un fatto che non siamo mai stati così in tanti nel mondo e mai le condizioni materiali di vita sono state migliori di quelle attuali: mai eravamo stati così ricchi, così longevi, mai così bassa la mortalità infantile e la quota di persone che vivono in condizioni di povertà.

E, a meno che prevalgano i sostenitori della decrescita (in)felice, il futuro che ci aspetta sarà materialmente migliore del presente.

Bisognerebbe raccontarlo ai tanti giovani che dicono di esitare ad avere figli a causa del cambiamento climatico e di un futuro che, è stato fatto loro credere in contrasto con le evidenze scientifiche di cui oggi disponiamo, sarà spaventoso.