L’elettrificazione dei trasporti stradali incontra in occidente serie difficoltà. In USA, a causa dell’esplicita ostilità di Trump verso qualsiasi politica ambientale, che lui considera “di sinistra”, e quindi dannosa.

Un “negazionismo” non mascherato: ha tagliato tutti i sussidi, e ha colpito le importazioni di automobili elettriche cinesi ed europee.

In Europa, le difficoltà derivano dai problemi dei produttori di mezzi stradali, che non riuscendo finora a produrre veicoli elettrici a basso prezzo, rischiano di non poter rispettare gli standard della Commissione Europea, e hanno ottenuto sia dazi sulle auto cinesi (che altrimenti costerebbero molto meno), che probabili allentamenti del vincolo di non produrre più veicoli a combustione interna dal 2035 in poi. I dazi in media pesano il 25% sui prezzi finali.

Che il settore dei trasporti stradali in Europa “internalizzi” con le tasse i costi ambientali che genera non sembra interessare nessuno.

Comunque, la Commissione s’è accorta finalmente che in Europa si producono solo auto elettriche di alto costo (segnalavamo il problema su “Mobility Magazine” diversi mesi fa), e solo adesso ha lanciato un programma di “utilitarie elettriche”, che però non si sa né quando né se avrà impatti rilevanti.

Il mercato dei veicoli merci leggeri e dei furgoni segue ovviamente quello delle auto.

Invece iI settore dei camion pesanti sembra essere in una situazione diversa: fino a pochi anni fa le prospettive di elettrificazione sembravano remote, tanto che Draghi nel suo celebre rapporto metteva quello dei camion pesanti tra i settori dove era difficile ridurre le emissioni (“difficult to abate”).

Anche qui i prodotti cinesi costano poco più della metà di quelli europei.

Tuttavia il progresso tecnico e le tasse sui carburanti hanno ridotto parecchio anche per i camion europei la differenza di costi tra elettrico e tradizionale, che c’è ancora, ma è tutt’altro che insuperabile

Si pensi che una voce tra le più significative che rimane a fare la differenza è il costo delle assicurazioni, perché gli assicuratori si fidano poco di una tecnologia che non conoscono bene.

Anche nel mercato cinese dell’elettrico ci sono problemi, ma completamente diversi: c’è sovraproduzione di veicoli elettrici (13 milioni di veicoli elettrici su 31 milioni in totale, e di 120 marche diverse!), il 70% delle macchine che si venderanno quest’anno saranno elettriche, e si prevede una serie di fallimenti delle marche minori (e la quasi scomparsa dei produttori europei).

Ma i produttori maggiori cinesi continuano a fare profitti, e le esportazioni vanno a gonfie vele.

I bassi costi cinesi sono dovuti a quattro fattori: i bassi costi del lavoro, le economie di scala consentite da un mercato grandissimo, la spietata concorrenza interna, e i rilevanti sussidi pubblici.

Tuttavia si prevede che i sussidi pubblici stiano finendo, perché ve ne è meno necessità. Certo l’Europa se ne può lamentare perché in passato hanno alterato la concorrenza, ma rimane il fatto che sono i cinesi che hanno pagato per grandi benefici ambientali, presenti e futuri, che riguardano tutto il mondo: l’”effetto serra” è planetario, ovunque le emissioni vengano ridotte.

Ma le economie di scala, la concorrenza interna, e la manodopera a basso costo rimarranno.

La Cina ha scommesso anche sui pannelli solari, che sta installando ed esportando a ritmi vertiginosi. Si prevede che la Cina nel 2025 installi da sola più pannelli del resto del mondo combinato.

E il progresso tecnico anche qui si è molto accelerato negli ultimi anni. E’ un fatto pochissimo noto che già oggi in Italia ogni casa uni- o bi-familare potrebbe alimentare tutti i propri consumi energetici domestici, più l’uso quotidiano di una macchina elettrica (30 km), con i pannelli solari. Questo, occupando solo la parte meglio esposta del tetto, per una copertura di 36 metri quadrati circa per appartamento.

C’è bisogno ancora di un po’ di sussidi pubblici, ma modesti e sicuramente meno necessari in futuro. Questo, senza rischi di interruzioni di potenza (il sole può mancare): parliamo di sistemi con una batteria di accumulo, perché anche per queste i costi si sono molto ridotti.

Emergono da questo quadro diverse osservazioni.

La prima concerne i costi reali del mettere pesanti barriere doganali alle produzioni cinesi. Non sono solo i dazi di Trump a evidenziare una concezione della crescita economica tutta basata sull’industria manifatturiera, da proteggere dalla concorrenza, concezione che appare quantomeno datata.

Forse il problema ha a che vedere anche con i nostri dazi.

Questi dazi notoriamente li pagano i nostri consumatori e le nostre imprese (come quelli imposti da Trump li pagano gli americani).

E non solo direttamente: con meno concorrenza estera anche i prezzi dei produttori europei rimarranno più alti per i consumatori.

Inoltre, camion pesanti elettrici europei più costosi renderanno più oneroso il trasporto delle merci, vista la dominanza del trasporto stradale (più del 95% in valore).

Un futuro europeo più ferroviario potrà modificare solo di pochi punti quel valore (e non senza costi). Quindi anche per l’ambiente si potrà avere solo un ruolo modesto e comunque declinante, man mano che cresce il peso dei trasporti stradali elettrificati.

In secondo luogo, con le barriere doganali inquineremo di più: veicoli elettrici più cari rallenteranno l’elettrificazione del parco.

Infine, si potrebbe vincolare meno le espansioni urbane a bassa densità (lo sprawl di tipo statunitense), qualora vengano garantite soluzioni residenziali e per la mobilità alimentate da pannelli solari, cioè molto positive per l’ambiente.

Per concludere, la difesa del settore dell’automotive europeo, dell’occupazione diretta (circa un milione di addetti), e del know-how industriale che sostiene meritano certo una difesa.

Ma si può pensare a barriere meno drastiche di quelle doganali, quali quelle che prevedono produzioni cinesi in Europa, totali o parziali, di cui già appaiono i primi segnali concreti.

E ricordando che una parte dell’indotto, in particolare tutta la manutenzione e il riciclo, rimarrebbe comunque in Europa.

Difendere ragionevolmente il settore è condivisibile, ma occorre essere ben consci dei costi che comporta, e delle probabilità di successo che avrà nel medio-lungo periodo.