
28 settembre 2025
di Marco Ponti
Questo decalogo è ovviamente ideologico. Non ha nessuna pretesa di neutralità, come tutta l’economia, che è una scienza sociale. Di neutrale ha al massimo la rilevanza dei temi che tratta, ma neanche questo è certo…
1. Comprare e vendere rende tutti più ricchi
Cioè non è mai a somma 0, se uno guadagna non vuol dire che l’altro ci perde. Ci guadagnano tutti e due, sennò lo scambio non avverrebbe. Può solo darsi che uno ci guadagni di più e un altro di meno.
Ma il benessere totale comunque aumenta con ogni scambio.
Anche un lavoratore, sfruttato da un padrone che lo paga troppo poco, se non è costretto a lavorare, starà comunque meglio di prima (ovviamente il fatto che quella paga sia iniqua rimane).
Lo stesso per i prezzi di un monopolista: se uno accetta di comprare, comunque vuol dire che anche lui starà meglio, anche se magari di poco.
Poi gli scambi commerciali liberi informano sulle preferenze di chi compra e sui costi di chi produce: in Unione Sovietica si produceva moltissimo, molto di più che ora, ma cose in gran parte inutili, che nessuno comprava.
2.Per produrre ci vuole capitale e lavoro
Solo il lavoro produce ricchezza, ma c’è bisogno anche di macchinari, materie prime, edifici ecc. che qualcuno deve metterci in anticipo, e che se non sono remunerati nessuno metterebbe. In più quelli che li mettono spesso rischiano anche di perderli. L’interesse è la remunerazione dell’anticipo, (i BOT, senza rischio, rendono il 3% all’anno), mentre il profitto è la remunerazione anche del rischio (le banche, che prestano rischiando, vogliono il 7%).
Anche lo Stato investendo anticipa soldi di tutti (per fare strade ecc.). Deve guadagnarci anche lui? Sì, perché fa fare un sacrificio a tutti subito per avere benefici in futuro, e questi devo essere un po’ maggiori del sacrificio presente. Quindi gli investimenti pubblici devono accrescere il benessere economico (si stima un 3% annuo per un buon investimento pubblico)
3.La concorrenza assicura l’efficienza economica
Lo fa in due modi: abbassa i costi di produzione (chi spreca lavoro o capitale non riesce a competere), e abbassa anche i prezzi (se c’è concorrenza, vince chi fa i prezzi più bassi). Inoltre costringe le imprese a innovare, sia per ridurre i costi di produzione che per offrire prodotti migliori.
E’ un grande paradosso: nel mercato, la spasmodica ricerca del profitto abbassa i profitti. E tutti i benefici dell’innovazione vengono nel tempo trasferiti ai consumatori.
Si pensi a Internet, che ha reso quasi tutto lo scibile umano a disposizione quasi gratis di tutti.
Con la concorrenza però molte imprese falliscono: spesso non si nota, perché in realtà vengono vendute a un prezzo basso, cioè “si sono mangiate il capitale”. Ma i lavoratori non dovrebbero patirne le conseguenze, solo i capitalisti.
4.Il benessere è dato dalla ricchezza ma anche dalla sua distribuzione
Se la ricchezza è in mano a una piccola minoranza di cittadini, non si può dire che vi sia benessere.
La ricchezza è misurata (in modo approssimato) dal PIL (Prodotto Interno Lordo), cioè da tutto quanto si consuma e si produce in un anno. In Italia il PIL cresce poco, ma lo Stato spende molto, e questo crea dei problemi.
La distribuzione della ricchezza è misurata dal coefficiente di Gini, che misura quanto è concentrata. L’Italia è nella media europea, e l’indice è piuttosto stabile.
Gli USA sono più ricchi ma più diseguali.
E il PIL e la sua distribuzione non sono indipendenti: se si ridistribuisce troppo (cfr.il socialismo) vengono meno gli incentivi. Non solo: più PIL c’è, più si è liberi di decidere cosa produrre (alcuni beni sono essenziali, altri no).
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5.Occorre lo Stato
Ma non tutto va bene nel mercato: ci sono cose che non si possono mettere in concorrenza (strade, porti, l’esercito, il sistema giudiziario ecc.), e cose che non si vogliono affidare al mercato (come la sanità o la scuola o le ferrovie), anche se qualche forma di concorrenza può servire.
Ma soprattutto ci sono i cittadini che, per i più vari motivi, non ce la fanno o non possono guadagnare abbastanza lavorando, e non sono nati ricchi. Tra loro, anche chi perde il lavoro a causa del fallimento delle imprese, o a causa del progresso tecnico.
Poi c’è l’ambiente, e soprattutto il riscaldamento globale, che richiedono risorse che il mercato non può fornire, ma anche qui può collaborare.
In Italia, lo Stato ha un peso economico rilevantissimo: il 48% del PIL transita per lo Stato via tasse ecc. (negli Stati Uniti il 38%).
6.Le tasse ridistribuiscono il reddito
In Italia, chi guadagna 10 paga 1, ma chi guadagna 100 non paga 10, paga 30. Cioè le tasse non sono proporzionali, sono progressive (c’è nella Costituzione). Poi certo c’è l’evasione, che però non supera il 5% del PIL. Evadono soprattutto i più ricchi (anche se si chiama “elusione”), e chi non ha un contratto da dipendente.
Ma è ragionevole che le tasse siano progressive, pensando all’eguaglianza dei sacrifici: quello che guadagna 10 verosimilmente fa lo stesso sacrificio a privarsi di 1 di quello che guadagna 100 a privarsi di 30. Tra le tasse, quelle sull’eredità sarebbero le più giuste, perché l’eredità non è meritata, ma sono impopolari.
Le tasse servono a pagare i servizi pubblici, i costi ambientali, la tutela di chi non ce la fa.
Le tasse distribuiscono meglio il reddito nei paesi sviluppati che in quelli più poveri, dove lo Stato è spesso direttamente controllato dai ricchi.
7.Il denaro è anche potere politico
La concentrazione di ricchezza è in grado di influire sulle scelte politiche (vedi le tasse sulle eredità). Lo può fare in diversi modi legali, oltre che con la corruzione che può essere sia diretta che sotto forma di “scambio di favori”.
Il modo principale è con il controllo dell’informazione, sia diretto (proprietà di giornali e TV), che con la pubblicità, che può condizionare anche i siti web.
E le imprese, pubbliche e private, possono orientare il voto dei propri dipendenti e fornitori a supporto di partiti favorevoli ai propri interessi.
Ovviamente il massimo caso si ha quando a un imprenditore non viene vietato di avere direttamente potere politico (Trump, Berlusconi).
Simmetricamente, povertà e insufficiente istruzione possono rendono gli elettori molto condizionabili. La “libertà dal bisogno” (cfr. Marx) è anche libertà politica.
8.Il mercato mondiale ha arricchito i più poveri
La globalizzazione è incominciata circa 50 anni fa, con il capitalismo in Cina e India, e si è rapidamente passati da un mondo con cinque miliardi di persone di cui tre poverissimi a uno di otto miliardi di cui uno poverissimo. Quindi anche con meno diseguaglianze.
Le diseguaglianze sono aumentate all’interno dei singoli paesi, ma comunque stanno meglio tutti, anche i poveri dei paesi ricchi, grazie a ragionevoli protezioni sociali.
Tutto è cominciato (non è chiaro perché) in Inghilterra nel ‘700, con l’avvento del libero mercato, dell’industria e della democrazia. E anche con una grande crescita della popolazione mondiale (circa 10 volte). Certo, non tutto è stato rose e fiori, in particolare per i lavoratori dell’industria nell’’800, ma poi i conflitti sociali hanno messo in moto azioni collettive che hanno reso più equa la distribuzione del reddito.
9.Le imprese non vogliono la concorrenza
Il monopolio rende più ricche le imprese, e più poveri sia i consumatori che la collettività (si produce e si innova di meno). Ovviamente alle imprese conviene il monopolio, o allearsi per aumentare i prezzi.
Lo stesso massimo teorico della concorrenza, Adamo Smith, diceva che ogni volta che degli imprenditori si trovano insieme “cospireranno contro l’interesse pubblico”. Poi in pubblico si dichiarano sempre favorevoli alla concorrenza e contro i dazi.
Per questo ci vogliono le autorità indipendenti antitrust. Indipendenti perché spesso anche ai politici e ai sindacati piacciono i monopoli, soprattutto pubblici.
E le autorità antitrust hanno vita difficile: hanno contro tutti, imprese e politici. I consumatori (e i contribuenti) non hanno voce, e spesso non sanno neanche di pagare molto più del dovuto.
10.Le imprese e lavoratori vanno dove stanno meglio
Se un’impresa trova all’estero condizioni per abbassare i costi, ci va. Anche i costi del lavoro. Staranno meglio ì consumatori, e i lavoratori del paese più povero dove si sposta. Staranno peggio i lavoratori del paese più ricco, che però di solito protegge di più chi perde il posto.
Lo stesso principio vale per i lavoratori. Le differenze di reddito infatti sono enormi. Un lavoratore in un paese sviluppato guadagna dieci volte di più, non due o tre volte. E ha molte maggiori protezioni e servizi sociali. Per questo dai paesi poveri rischiano anche la vita per emigrare. Ma non possiamo accoglierli tutti, anche se ne abbiamo bisogno per motivi demografici. Occorrono strategie di integrazione ed istruzione, altrimenti diventano manovalanza per la criminalità.