Controcorrente

Se a sinistra si applaude, a destra si fischia. E viceversa. In tempi normali è la regola del confronto politico. Da quasi un anno viviamo in una condizione di eccezione con la maggior parte delle forze politiche che sostengono l’esecutivo e vanno d’accordo forse più per forza che per convinzione. C’è però un settore nel quale vi è un comune sentire che abbraccia l’intero arco costituzionale e che sembra in grado di attraversare ogni stagione politica. E’ quello dei trasporti e delle infrastrutture che vede tutte le forze politiche abitualmente schierate dalla stessa parte, quella della bontà, sempre e comunque, di una maggior spesa pubblica per gli investimenti e per i servizi. Quella della avversione per ogni tentativo di introdurre elementi di concorrenza. Quella della difesa ad oltranza dei campioni nazionali. Quella dei tavoli di concertazione dove sono rappresentate le aziende di settore, i sindacati, gli utenti dei servizi ma dove sembra quasi sempre essere assente la voce di chi paga il conto delle decisioni: il contribuente di oggi e quello di domani. Quella della sostenibilità ambientale e del mito apparentemente inscalfibile del riequilibrio modale: meno strada e più ferrovia, la famosa cura del ferro che dovrebbe salvare il pianeta.
Qui si prova a esprimere, serenamente e pacatamente, una dissenting opinion. A ricordare che il denaro dei contribuenti deve essere considerato sacro e deve essere speso a favore della collettività e non per avvantaggiare interessi di gruppi particolari, di chi, impresa o consumatore che sia, è più capace a sussurrare al Principe. Che ridurre l’impatto ambientale dei trasporti e migliorare la mobilità è auspicabile ma non whatever it takes. Che i benefici devono sempre essere commisurati alle risorse impiegate per conseguirli. Che non ci sono pasti gratis (solo nel caso di crisi eccezionali). E che “è più facile dal No arrivare al Sì che dal Sì retrocedere al No. Spesso il No è più utile del Sì” (L. Sturzo, Decalogo del buon politico).