Per i trasporti ci sono in ballo 133 miliardi di opere grandi e piccole, mai valutate, lasciateci in eredità dal governo precedente, che hanno creato grandi aspettative di soldi pubblici in arrivo, aspettative politiche ed industriali, che prescindono totalmente dalla loro urgenza e utilità, sulle quali occorre decidere. Infatti è altamente improbabile che ci siano soldi per farle tutte, e il rischio di infiniti cantieri che si aprono e non si chiudono mai è molto reale. Soprattutto in tempi di strette alla spesa, e a parte la certezza di sprechi di scarsi soldi pubblici (a meno si condivida che “a priori” nessuna di queste sia uno spreco…nemmeno quelle più dubbie).

Toninelli ha iniziato un tentativo di selezionare le opere in base a serie e oggettive analisi costi-benefici, tentativo che tuttavia incontra ostacoli rilevantissimi. Se ci si ferma di fronte a questi ostacoli, il partito del cemento, come sempre è successo, vincerà ancora una volta la partita, e anche questo governo rientrerà nei ranghi di un sistema che certamente non ha contribuito alla crescita italiana; il cemento invece delle tecnologie è oggi una scelta fatale, un ritorno ad uno scenario paleoindustriale passato che non tornerà, tanto più quanto più limitate sono le risorse pubbliche, cioè quanto più le scelte di investimento devono essere selettive.

Se invece questo tentativo deve proseguire, come è ben auspicabile, bisogna però fare alcune cose importanti cioè le cose per le quali il progetto di valutazione è partito: innanzitutto trasparenza nell’uso dei soldi pubblici, anche con aspri dibattiti sulle analisi, cosa che ha incominciato ad emergere per la prima volta, e che deve continuare per tutte le scelte, soprattutto quelle più onerose. Qualsiasi selezione “a priori” di opere che possono evitare l’analisi perché se ne temono i risultati genererebbe una grave perdita di credibilità.

Rientra in questo aspetto la pubblicazione di tutte le analisi svolte e con il massimo anticipo possibile rispetto alle scelte politiche. Si ricorda infatti che uno degli scopi principali dell’operazione è legato alla trasparenza delle scelte ed al dibattito democratico, molto più che dire dei “Sì” o dei “No”, che giustamente spettano alla politica; altrimenti i sospetti di manipolazione non possono che crescere, e si tornerebbe alla discrezionalità del passato. Sarebbe un pessimo segnale.

In secondo luogo, occorre rivedere l’assunzione, acritica ed in perfetta continuità con il governo precedente, che la “cura del ferro” sia una scelta sempre sensata. Come si può dimenticare che questo modo di trasporto rappresenta una voragine per le casse pubbliche? L’argomento ambientale certo in molti casi è valido, ma va visto in termini rigorosi: si ricorda a solo titolo di esempio che raddoppiare il trasporto merci su ferro ridurrebbe le emissioni di CO2 di meno dell’1%, con costi altissimi per lo Stato. Inoltre è certo che le emissioni dei veicoli stradali nei prossimi anni continueranno a diminuire, e quindi questo fatto, dato il lungo periodo richiesto dalla realizzazione di grandi opere ferroviarie, ridurrà l’importanza di spostare traffico dalla gomma al ferro.

Per il problema della congestione stradale, generata soprattutto da automobili private, cioè dal trasporto passeggeri, come dimenticare che la popolazione del Paese è prevista in diminuzione, soprattutto al sud?

E che dire del fatto che l’attuale modesto ruolo economico del trasporto di merci su ferro sia tale nonostante decenni di tassazione elevatissima del trasporto su gomma e di sussidi altrettanto elevati a quello su ferro? Non si può forse riflettere che data la struttura del territorio italiano e le caratteristiche del nostro sistema produttivo, basato su imprese medio-piccole, il trasferimento alla ferrovia è molto difficile, considerato che questo modo di trasporto non può tecnicamente essere capillare, cioè può servire solo alcune direttrici con moltissima domanda?

Più di ogni altra cosa infine serve trasparenza, della quale deve far parte la necessaria denuncia politica di questo non glorioso passato: troppe scelte opache e non motivate in alcun modo. Come dimenticare i meccanismi di affidamento del maggior progetto infrastrutturale degli ultimi vent’anni, l’Alta Velocità ferroviaria? Investimenti per una cifra stimabile oggi intorno ai 50 (60?) miliardi, praticamente tutti a carico dei contribuenti, supportati da analisi o inesistenti o chieste agli interessati, e affidati senza gara pochi giorni prima che scattasse l’obbligo europeo? Ma la storia reale, rapidamente dimenticata, è molto peggio di questa. Lo Stato firmò con i consorzi di imprese cui “regalava” questi affidamenti miliardari, contratti con cui si “auto-multava” per molte centinaia di milioni se non avesse realizzato l’opera o la avesse affidata ad altri. Perché un comportamento così incredibilmente generoso, se questo non avesse costituito un qualche corrispettivo per alcuni “costi” sostenuti dai fortunati concessionari, anche se non esplicitabili nei contratti? Almeno il dubbio è legittimo. E queste “curiose” multe condizionano ancora molte delle opere oggi sul tavolo.

La trasparenza è anche ricordare come si è arrivati ad opere spesso costosissime e altrettanto spesso di dubbia urgenza o utilità. Il grande democristiano Andreatta (non un pericoloso comunista) dichiarò nel 1992 a Repubblica “Chi parla di grandi opere è solo interessato alle proprie tangenti”. E chi dimentica il passato è condannato a ripeterlo: ricordarlo forse renderà più difficile che si ripeta.

Marco Ponti

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