4 luglio 2024

di Marco Ponti

L’autonomia differenziata proposta dal governo assume di garantire standard uguali per tutte le regioni per alcuni servizi pubblici essenziali (mediante la quantificazione dei Lep, che sta per Livelli essenziali delle prestazioni). I servizi più citati e rilevanti sono la scuola, la sanità, e i trasporti. Mentre per i primi due i criteri di valutazione sono relativamente semplici e consolidati (posti letto per abitante, liste di attesa, numero docenti, alunni per classe, servizi tempo pieno, ecc.), per i trasporti il quadro è molto complicato.

Infatti il settore è caratterizzato da servizi pubblici e privati, da modalità di trasporto diverse (individuali e collettive, su ferro e su gomma, ecc.) e da infrastrutture che supportano i diversi servizi (reti stradali e ferroviarie, ma anche porti e aeroporti).

Le regioni e i comuni hanno già un ruolo autonomo importante per la pianificazione dei servizi e delle reti locali, mentre rimangono al centro i servizi e le reti nazionali (soprattutto ferrovie e autostrade, che però servono molto anche la mobilità locale).

Lo Stato interviene sul livello locale per i sussidi ai trasporti pubblici su ferro e su gomma (circa 7 miliardi all’anno) e contribuisce a una parte degli investimenti in infrastrutture (tutte quelle ferroviarie e le strade statali). La gran parte delle autostrade invece è pagata dagli utenti con i pedaggi.

Lo Stato infine mantiene per sé i ricavi del modo di trasporto dominante, quello automobilistico, che copre oltre l’80 per cento degli spostamenti e rende alle casse pubbliche circa 40 miliardi netti all’anno, principalmente in tasse sui carburanti.

La nuova legge poi sembra ribadire sia vincoli complessivi sulle risorse pubbliche che il mantenimento dei livelli attuali dei trasferimenti. Per definire i Lep una prima distinzione da fare riguarda la scelta se limitarsi solo ad assicurare livelli adeguati del trasporto pubblico locale o invece considerare tutti gli aspetti della mobilità e dell’accessibilità regionale.

Il termine “essenziale” tuttavia induce a considerare solo i servizi pubblici locali, assumendo implicitamente che questi vadano garantiti a chi non può ricorrere ad altri modi di trasporto più costosi, in particolare all’automobile. Ma anche così è molto complicato.

Le forme della valutazione

Le situazioni possono essere molto diverse: in regioni a bassa densità l’occupazione dei mezzi pubblici è più bassa che in regioni dense, quindi occorrono più risorse per servire la stessa domanda complessiva.

Tuttavia nelle regioni ad alta densità insediativa può esserci un’elevata congestione, che richiede più trasporti pubblici, anche su ferro. O alcune regioni potrebbero avere problemi di domanda particolare, per esempio di tipo turistico, con esigenze ancora diverse, o reti stradali inadeguate, che aumentano i costi e la qualità dei servizi di trasporto pubblico.

Oppure ancora una regione potrebbe avere tariffe più elevate rispetto al reddito medio regionale, diminuendo così il contenuto sociale del servizio. A questo proposito, le differenze tariffarie e di quantità dei servizi erogati potrebbero dipendere dall’efficienza delle imprese nelle diverse regioni.

I tentativi fatti di incentivare l’efficienza definendo “costi standard” di produzione, e mediante l’obbligo, quasi sempre evaso, di mettere in gara periodica i servizi di trasporto pubblico non sembra abbiano dato risultati, e questi aspetti certo interagiscono con la nuova normativa.

Esistono però anche forme più sofisticate di valutazione dei servizi pubblici di trasporto, che si basano sul concetto di accessibilità. In Italia ci hanno lavorato in particolare alcuni docenti del Politecnico di Milano, anche appoggiandosi a estesi confronti internazionali di metodologie di calcolo e di casistiche empiriche.

I criteri più diffusi di accessibilità ai trasporti pubblici si basano sui tempi di accesso alle fermate, sulla frequenza del servizio, e sulla quantità della popolazione servita. Alcuni modelli computano anche le velocità dei servizi, avvicinandosi cosi maggiormente ai tempi totali di viaggio. Non includono però gli aspetti tariffari, né la rilevanza delle destinazioni (per esempio potrebbero essere collegati benissimo servizi collettivi urbani, ma non posti di lavoro industriali ecc.).

Solo modelli analitici di simulazione del traffico, impensabili in questo contesto, potrebbero fornire una descrizione completa dei livelli del servizio dei trasporti pubblici, e comunque occorrerebbe poi definire soglie “essenziali” per ogni regione. Per arrivare a una qualche raccomandazione pratica, forse occorre prendere atto dell’estrema complessità delle situazioni, ma anche ricordare che trasferimenti “in solido” incentivano l’uso efficiente delle risorse a livello locale.

La deresponsabilizzazione

Gli attuali trasferimenti infatti sono spesso “mirati” al ripiano dei conti di grandi imprese inefficienti, con l’effetto di deresponsabilizzarne le gestioni. Tutti si sentono autorizzati a dare la colpa allo Stato centrale avaro, e non alla propria inefficienza. Cioè sembra meglio limitarsi al semplice mantenimento del livello attuale dei trasferimenti (tenendo al più conto dei costi-standard che abbiamo citato) ma cogliere l’occasione della nuova legge per rendere i trasferimenti “in solido”.

In questo modo si asseconderebbero le pressioni regionali per una maggiore autonomia nell’uso delle risorse, per esempio tra l’allocazione a servizi su gomma o su ferro, ma si introdurrebbe una importante incentivazione al loro uso efficiente. Erogare risorse “in solido” al settore dei trasporti locali era stato tentato alla fine del secolo scorso proprio per incentivarne l’efficienza. Ma le regioni avevano poi restaurato il sistema del “caso per caso” dei sussidi, proprio per non prendersi alcuna responsabilità.

Ovviamente tutte le regioni protesteranno per il mantenimento degli attuali trasferimenti, per gli svariatissimi motivi sopra elencati. Tuttavia tentativi centralizzati di entrare nel merito di una miriade di situazioni particolari non diminuirebbero certo la conflittualità, né riuscirebbero a garantire risultati più equi. A volte meno è meglio.