27 settembre 2024

di Francesco Ramella

Alla fine, paga sempre Pantalone. Non fanno eccezione le più recenti autostrade lombarde e la Pedemontana Veneta. L’idea iniziale era quella del project financing: soggetti privati investono risorse proprie che vengono poi remunerate con i pedaggi versati dagli automobilisti, senza oneri per lo Stato.

La ciambella, però, non è riuscita con il buco. I costi di realizzazione delle infrastrutture sono lievitati rispetto alle previsioni iniziali mentre i flussi di traffico e, quindi, gli incassi, sono risultati inferiori alle aspettative.

A questo punto, come nei quiz televisivi, si è chiesto “l’aiuto del pubblico”. Nel caso della Brebemi (l’autostrada Brescia-Bergamo-Milano) la concessione è stata due volte prorogata e il default del gestore è stato evitato grazie a contributi pubblici per un ammontare complessivo pari a 320 milioni. E ora c’è anche il rischio che queste concessioni vengano trasferite al MIT, ossia ai contribuenti italiani.

A giudizio di Milena Gabanelli non c’era altra via di uscita, infatti: «Come si fa a far fallire una azienda privata dalle cui sorti dipende un’infrastruttura pubblica?», si è chiesta sul Corriere. «Un’autostrada una volta aperta, se i pedaggi non ripagano i costi, o la prende in carico la Regione che l’ha voluta, o le casse dello Stato. L’alternativa non c’è».

Un’alternativa c’è. Citofonare Thatcher

Non è così. Un’alternativa, a volerla perseguire, ci sarebbe. L’esempio viene da una tra le più imponenti infrastrutture di trasporto realizzate in Europa negli ultimi decenni, il tunnel ferroviario sotto la Manica. Il dibattito pubblico che precedette la costruzione dell’opera fu caratterizzato da toni quasi unanimemente entusiasti sia in Francia che nel Regno Unito. Politici, imprenditori, sindacati presentavano il progetto come una grande opportunità di sviluppo: un “volano per la crescita” come spesso si sente ripetere anche da noi.

A non essere del tutto convinta fu la sola Margareth Thatcher, che non si oppose alla realizzazione ma volle che il finanziamento fosse interamente a carico di soggetti privati e che non un solo penny venisse prelevato dalle tasche dei cittadini. Così fu. Anche in quel caso la realtà non fu corrispondente alle attese: i costi raddoppiarono e i traffici si rivelarono inferiori alle previsioni, come per la Brebemi. Ma, in quel caso, l’onere non venne socializzato e ricadde sugli azionisti che videro il valore del loro investimento quasi interamente azzerato mentre l’infrastruttura continuò regolarmente a funzionare.

La Brebemi come Eurotunnel

Analogo approccio potrebbe essere seguito per la Brebemi. Gli incassi da pedaggio non sono infatti sufficienti per ripagare i debiti contratti ma coprono ampiamente i costi operativi: nel 2023 i ricavi della gestione autostradale (119 milioni) sono risultati pari a 3,4 volte i costi operativi (35 milioni).

Una vera disciplina di mercato sembra essere l’unico efficace rimedio rispetto a una condizione che appare endemica nel settore delle infrastrutture e, in particolare, per le ferrovie che, al contrario delle autostrade, sono interamente finanziate con risorse pubbliche: se la Brebemi fosse stata una strada ferrata, di salvataggio pubblico non se ne sarebbe mai parlato. Tutto l’investimento, con qualunque sforamento di costo, sarebbe stato fin dall’inizio a carico dei contribuenti. Per la rete alta velocità, ad esempio, il conto da pagare è risultato pari a 32 miliardi più del doppio di quanto inizialmente preventivato.

Brebemi alta velocità

I costi delle grandi opere

E non si tratta di un’eccezione italiana. Una ventina di anni fa lo studioso danese Bent Flyvbjerg raccolse i dati relativi a oltre duecento grandi opere sparse per tutto il mondo. Ebbene, in media, lo scostamento del costo di costruzione da preventivo a consuntivo risultò per le ferrovie pari al 45 per cento mentre il numero reale di passeggeri si rivelò inferiore del 39 per cento rispetto a quello stimato.

Nel caso delle autostrade, per le quali spesso il finanziamento è in tutto o in parte privato, gli scostamenti risultarono più contenuti: lo sforamento medio sui costi risultò del 20 per cento e quello relativo ai traffici del 9 (in eccesso).

Che cosa insegna il caso Brebemi

Come dimostrano sia il caso di Eurotunnel che quello di Brebemi e come accade in ogni settore, anche i privati sbagliano a fare i conti ma, a differenza del soggetto pubblico (chi potrà mai chiedere conto a un ministro dei trasporti di uno sforamento di costi o di previsioni di traffico sbagliate?) e se questo non viene loro in soccorso, pagano in prima persona e, quindi, hanno un forte interesse a essere più accorti nel decidere un investimento. È improbabile che gli investitori di Eurotunnel ci siano ricascati una seconda volta.

Il mercato funziona mediamente meglio dello stato non perché le persone che operano nel primo ambito siano necessariamente migliori o più competenti ma, banalmente, perché gli incentivi sono importanti.