8 luglio 2025

di Marco Ponti

Trenord ha pubblicato recentemente uno studio, commissionato alla nota società di consulenza KPMG, che, mediante un apposito modello denominato “True Value”, cioè “valore vero” o “sincero”, dimostra senza dubbi possibili, che “il treno ha generato in Lombardia e in sette province limitrofe un valore di 3 miliardi di euro”.

Mirabile risultato!  Si articola in tre sezioni, per cui nulla può sfuggire: i benefici sociali, quelli ambientali, e quelli economici.

Peccato che il risultato sia difficilmente difendibile, come vedremo più avanti.

Il metodo fa parte di una consolidata tradizione pubblicitaria delle SpA pubbliche che vivono di sussidi pagati dai contribuenti.

La prima operazione pubblicitaria si chiama “profitti”.

Anche ATM e le ferrovie dello Stato, oltre a Trenord, fanno profitti! Non proprio sempre, ma quasi. I contribuenti e gli azionisti pubblici sono felici, anche perché, trattandosi di SpA, queste imprese sono chiamate a fare profitti. E’ la normativa delle SpA che lo richiede.

Peccato che si tratti di profitti che si realizzano a valle di sussidi pubblici che sono dell’ordine di dieci volte il valore dei quei profitti, che quindi non hanno nessun senso economico.

Ma c’è di peggio: siccome, come abbiamo visto trattandosi di SpA, un po’ di profitti li devono comunque mostrare (sennò avrebbero problemi con le banche ecc.), i sussidi sono ovviamente dimensionati in modo da farglieli fare.

E infatti si tratta di veri sussidi, non di trasferimenti a fronte di risultati misurabili (es. passeggeri trasportati, tonnellate di CO2 risparmiate ecc).

Si tratta cioè di importi arbitrari, modulabili quindi in modo da salvare comunque i conti, quale che sia la reale performance dell’impresa.

Si ricorda per inciso che dal dopoguerra a oggi una sola impresa di TPL è fallita, quella di Padova negli anni ’50.

Dunque si tratta di imprese che non possono né fallire né operare in perdita.

E i profitti, coerentemente, vengono sempre pubblicati sui media, e a volte con qualche risonanza.

Questo invece non succede mai per i sussidi pubblici ricevuti: vanno faticosamente ricostruiti all’interno dei bilanci, e quindi l’opinione pubblica può continuare a vivere felice.

In termini assoluti ovviamente domina FSI, con oltre 12 miliardi all’anno di sussidi, ma anche ATM e ATAC non scherzano, superando di slancio il milione di Euro al giorno. Trenord si ferma a un po’ più di mezzo miliardo all’anno.

Non noccioline (anche se comunque meglio che produrre carri armati…).

Si vede però che per l’immagine aziendale i profitti non sono abbastanza convincenti (circolano voci malevole di sussidi pubblici elevati).

Allora entrano in gioco i benefici sociali, per i quali esiste la “madre di tutti i modelli”, che si chiama analisi di Valore Aggiunto, da cui tutti gli altri sono poi generati.

I modelli economici di questo tipo misurano con grande accuratezza gli impatti (appunto, il valore aggiunto) di una spesa pubblica, ma anche privata, sull’economia.

Cioè sulle attività produttive e l’occupazione che si mettono in moto attraverso tutti i settori economici grazie a quella spesa. Questi modelli, molto complessi, sono noti anche come “input-output”, e hanno generato anche un premio Nobel  (W.Leontiev).

Peccato che, come è evidente, maggiore è la spesa, maggiore è il Valore Aggiunto. Cioè operano un miracolo: trasformano dei costi in benefici sociali!

Non possiamo entrare qui in dettagli tecnici, basta dire che possono essere usati solamente per valutare alternative di spesa, mai per casi di singole imprese o settori. Danno per definizione sempre risultati molto positivi.

Venendo adesso al modello di cui si è detto all’inizio, misura i benefici sociali (come no? I treni fanno un sacco di corse al giorno e trasportano un sacco di gente! Più treni si fanno, meglio è, e se questo aumenta anche i costi, poco male…). Ci mettono anche gli sconti tariffari fatti ad alcune categorie di viaggatori.

I metodi con cui vengono monetizzati questi benefici sono davvero molto vari e fantasiosi

Passiamo ai benefici ambientali: questi sono reali, i treni inquinano molto meno delle macchine, anche se queste ultime pagano in tasse una gran quantità di soldi, che servono anche a pagare i sussidi dei treni (e molte altre cose). 

Ci si dimentica però di esplicitare i costi ambientali dei servizi su ferro, che sono bassi ma non certo nulli. Il modello monetizza anche qui i benefici, con parametri internazionali, per raggiungere il risultato economico totale di cui si è detto, e questo è corretto.

Per i benefici economici, invece abbiamo il miracolo della diretta trasformazione (la “transustanziazione”) dei costi in benefici. E’ il trionfo del Valore Aggiunto. Che poi i costi non vengano chiamati direttamente “benefici” non è rilevante: li elencano comunque come impatti positivi, insieme a quelli ambientali ecc. .

Ed ecco che il risultato sfiora i per il 2024 i 3 miliardi. L’obiettivo è raggiunto, e anche con tecniche sofisticate, se qualcuno avesse dubbi residui…