5 ottobre 204

di Marco Ponti

Buon pomeriggio, nella vita ci sono poche certezze, una di queste è che Marco Ponti è sempre il punto di riferimento quando bisogna ragionare di trasporto ferroviario e investimenti sull’infrastruttura. 

In tutti questi anni in cui ho interagito con lui – al Fatto, su Domani, e qui – si è sempre dimostrato il più spietato analista delle follie infrastrutturali all’italiana. 

E visti i problemi di questi giorni, mi sembra giusto sentire cosa ne pensa. 

Stefano Feltri


1) L’incidente che ha paralizzato mezzo sistema ferroviario è dovuto alla mancata attivazione dell’alimentazione di emergenza, e comunque è patetico dare la responsabilità a una ditta esterna, come se il management non dovesse rispondere anche delle azioni delle ditte che ha scelto, e che comunque deve controllare.

2)  Comunque quest’anno i fermi per guasti sono stati rilevanti, e i lavori di manutenzione e miglioramento delle linee, legati ai soldi del Pnrr, sembrano essere stati gestiti in modo inadeguato, probabilmente per la fretta di spendere i fondi.

3) E’ una costante che i ministri dei trasporti concentrino la loro attenzione molto più sui nuovi investimenti che sul buon funzionamento dell’esistente. Matteo Salvini con il Ponte non è un’eccezione. La logica delle Grandi Opere come strumento di consenso è stata un’invenzione dei governi Berlusconi.

4) Certo una manutenzione inadeguata non è un problema di risorse. Alle ferrovie a diverso titolo lo Stato eroga più di 12 miliardi all’anno, e in particolare paga due terzi della manutenzione ordinaria della rete, e il 100 per cento degli investimenti, che spesso includono anche le manutenzioni straordinarie. Solo un terzo di quelle ordinarie è pagato dagli utenti, diversamente dalle altre infrastrutture di trasporto.

5) I subappalti comunque sono indispensabili in un’impresa di queste dimensioni. Moltissime attività sono specializzate e/o discontinue, mantenerle “in house” aumenterebbe molto i costi, e mancherebbe lo stimolo della concorrenza, che invece nei subappalti può agire. Se poi questi sono gestiti in modo clientelare, ovviamente ne risponde il management (e in ultima istanza il padrone pubblico). 

6) Non è vero che la rete è sovraccarica, e neppure lo sono le stazioni. Una linea ad alta velocità può portare oltre 300 treni al giorno, e la tratta più carica di quella italiana supera di poco i 200 treni/giorno. 

In Giappone, che ha una rete AV molto vecchia, transita un treno ogni 3 minuti, e a parità di binari disponibili le stazioni tedesche smistano parecchi più treni di quelle italiane. E’ vero tuttavia che era prioritario intervenire sui nodi ferroviari, dove si sommano treni merci, locali, e AV, mentre si sono privilegiate le nuove linee AV, per le ragioni già viste.

7) Il problema centrale però è la regolazione debole. La rete ferroviaria è un “monopolio naturale”, e per garantirne il buon funzionamento occorre un regolatore indipendente, come per tutte le infrastrutture. In Italia c’è ART (Autorità di Regolazione dei Trasporti). 

Ma come ovunque, la regolazione di aziende pubbliche ha due gravi problemi: da un lato il regolatore è stato nominato proprio dai decisori politici proprietari delle aziende, e quindi ha una sorta di conflitto di interessi, dall’altro le aziende non rispondono a incentivi o disincentivi economici. Lo Stato garantisce comunque le risorse, al punto che il Gruppo Ferrovie dello Stato per esempio dichiara sempre profitti, a valle dei 12 miliardi citati, come se questi profitti avessero un qualche senso economico.

Ciò premesso, appare ovvio che da un lato occorrerebbe rinforzare molto i poteri di ART nel confronto di aziende pubbliche, e dall’altro introdurre per quanto possibile meccanismi incentivanti reali (es. “yardstick competition”), sui quali qui non è possibile entrare in dettaglio.

Le ipotesi di privatizzazione parziale delle ferrovie, oggi sul tavolo del governo, potrebbero essere finalizzate in tal senso, mentre purtroppo c’è il rischio dell’opposto, che cioè ci si limiti a garantire i profitti di privati con un ingresso in solido nell’azionariato delle Ferrovie dello Stato, trasformando quei profitti in rendite pagate dai contribuenti.