1 febbraio 2025

di Francesco Ramella

Tra i numerosissimi addebiti che si fanno al liberismo forse quello che riceve il consenso più unanime è il fallimento della privatizzazione delle ferrovie britanniche. Un disastro: incidenti alle stelle, pessima qualità del servizio, prezzi elevatissimi. Di fronte a tale scempio chi potrebbe obiettare alla rinazionalizzazione? Eppure, guardando ai freddi numeri, si scopre che:

a) Non c’è evidenza che la privatizzazione abbia causato un deterioramento della sicurezza e il tasso di mortalità delle ferrovie britanniche tra il 2011 e il 2021 è risultato tra i più bassi in Europa e inferiore a quello di tutti i maggiori Paesi.

b) Nell’anno della privatizzazione la domanda soddisfatta dalle ferrovie britanniche era identica a quella di cinquanta anni prima. Dopo la riforma è cresciuta del 125%, più che in ogni altro Paese europeo. In Italia, nello stesso periodo, l’aumento è risultato pari al 21% nonostante il successo dell’alta velocità che, però, interessa una nicchia dei viaggi in ferrovia (a loro volta una nicchia degli spostamenti degli italiani).

c) I sussidi alle imprese ferroviarie sono stati azzerati fino a prima del Covid. I biglietti sono molto più cari che in Italia? Sì, perché i britannici pagano per intero il costo di produzione che in Italia (AV a parte) è per 2/3 a carico dei contribuenti.

d) Il Regno Unito si pone al sesto posto in Europa quanto a soddisfazione della popolazione per le ferrovie, con un indice superiore a quello di tutti gli altri maggiori Paesi.

Si è speso molto per la rete, tornata in mano pubblica già nel 2002, e i costi dell’AV Londra – Birminghman sono esplosi. Ma non è ovviamente una responsabilità delle imprese private e le cose non vanno meglio nella UE. La Commissione europea promuove un piano da centinaia di miliardi facendo credere che i treni possano avere un impatto significativo per il clima: più di mille miliardi spesi per le ferrovie da inizio secolo e una quota di domanda rimasta ferma a un modestissimo 7% non sono evidentemente sufficienti a far cambiare direzione all’ago della bussola.

In Italia, gli investimenti in nuove linee hanno tutti, ad eccezione del nodo di Firenzecosti superiori ai benefici attesi e, per questo, ci impoveriranno. E in Piemonte la destra ferroviaria (indistinguibile dalla sinistra) riapre una linea fantasma al modico costo per i contribuenti di 10mila euro all’anno per passeggero.

L’unico ad andare in direzione ostinata e contraria è Javier Milei che ha chiesto alla World Bank di cancellare nove progetti di infrastrutture per un importo di 1,7 miliardi destinando i soldi a istruzione e protezione sociale con trasferimenti diretti ai più poveri.

A qualcuno potrebbe persino venire il dubbio che il capitale umano sia più redditizio delle traversine. E che il liberismo sia di sinistra?