10 ottobre 2023
di Francesco Ramella
Negli ultimi quarant’anni le emissioni mondiali di anidride carbonica sono quasi raddoppiate. Quasi tutto l’aumento è avvenuto in Asia. Da inizio secolo, la CO2 prodotta nella UE è diminuita del 25% e del 20% negli Stati Uniti; quella di Cina e India è triplicata.
Si è nel frattempo fortemente ridotto il divario delle emissioni pro-capite: nel 1982 negli Stati Uniti erano pari a dieci volte quelle cinesi, oggi il rapporto è di due a uno.
Solo grazie all’uso dei combustibili fossili è stato possibile per centinaia di milioni di persone uscire dalla povertà. Se l’Asia non si fosse sviluppata e, invece, fosse rimasta quasi ferma come l’Africa, il problema del cambiamento climatico sarebbe oggi molto meno pressante. Ma possiamo pensare che sarebbe un mondo migliore?
È di ieri la notizia che, dopo la battuta d’arresto dovuta al Covid, la povertà nel mondo ha ripreso a scendere e ha raggiunto il livello più basso di tutta la storia dell’umanità. E ha ricominciato a crescere l’aspettativa di vita che quest’anno raggiungerà i 73,4 anni. Non siamo mai stati così in tanti e non abbiamo mai vissuto così a lungo. Le previsioni di imminente collasso del pianeta a causa della sovrappopolazione che risalgono a mezzo secolo fa si sono rivelate del tutto infondate.
Le emissioni fanno male al clima e agli ecosistemi ma non si dovrebbe scordare l’altro lato della medaglia: et-et. Grazie all’energia fossile e alla crescita economica che ne è stata in buona misura debitrice, siamo oggi in grado di difenderci dal clima meglio di quanto sia mai accaduto in passato. Il numero di morti per eventi estremi è crollato rispetto a cento anni fa. Un identico uragano fa molte più vittime ad Haiti che negli Stati Uniti così come un terremoto in Marocco e uno della stessa intensità in Giappone. I fenomeni estremi fanno male ma la povertà fa molto più male.
Il clima è importante per la vita ma la vita è molto di più rispetto all’impatto che il clima ha su di essa. Il mondo che lasciamo i nostri figli, nonostante il clima peggiore, è nel complesso molto migliore di quello che abbiamo ricevuto dai nostri genitori.
E, lo ha ricordato sulla prestigiosa rivista Nature Brian C. O’Neill, scienziato dell’IPCC, il futuro che ci attende sarà con ogni probabilità migliore del presente pur se cresceranno gli impatti negativi del cambiamento climatico. Sono stati dunque ingannati tutti quei giovani – da un recente sondaggio sembrano essere la maggioranza – che dicono di esitare ad avere figli perché destinati a vivere in un mondo in sfacelo.
Ridurre le emissioni è necessario, soprattutto come “polizza di assicurazione” per eventi assai improbabili allo stato attuale delle nostre conoscenze ma che non possiamo escludere con certezza. Ma dovremmo farlo con intelligenza e consapevoli che quello che faremo noi occidentali sarà sempre meno rilevante. In base ai risultati riportati in un altro recente articolo scientifico su Nature, la decrescita economica e una profonda trasformazione nei Paesi ricchi ridurrebbero le emissioni solo del 10%. E, se questa strada fosse intrapresa in tutto il mondo, il numero di persone che vivono in condizioni di povertà aumenterebbe di 2,4 miliardi nel 2050 e 7,9 miliardi nel 2100. Le emissioni fanno male ma non dovremmo dimenticare che possono fare anche molto male le politiche adottate per ridurle.
La strada maestra da seguire dovrebbe essere quella della innovazione tecnologica, senza preclusioni e senza illudersi che ci siano alternative a rischio zero, quella che già ci ha consentito di migliorare radicalmente la qualità dell’aria senza rinunciare a riscaldarci o a spostarci in auto.