12 gennaio 2025

di Francesco Ramella

C’è una specie in via di estinzione sui mezzi di informazione: si tratta dei disastri naturali che non sono causati dal cambiamento climatico. Qualsiasi evento eccezionale viene infatti abitualmente ricondotto ad esso come unico o, quanto meno, prevalente fattore scatenante.

Non fanno eccezione gli incendi che negli scorsi giorni hanno interessato Los Angeles e che hanno già devastato un’area maggiore di quella di Manhattan provocando almeno undici vittime e l’evacuazione di quasi 200 mila persone.

Come se, prima che le attività umane interferissero con il sistema climatico, questi fenomeni non esistessero o fossero molto più circoscritti.

Incendi del passato

I dati di cui disponiamo ci raccontano una realtà molto diversa. Sebbene non esista per gli Stati Uniti una serie storica unitaria delle aree interessate dagli incendi e i dati più lontani nel tempo risentano probabilmente di doppi o tripli conteggi, possiamo dire che nei primi decenni del Novecento la superficie che ogni anno andava a fuoco era dello stesso ordine di grandezza o superiore a quella registrata negli ultimi anni.


E negli archivi dei giornali si trovano riscontri di episodi ancora precedenti di intensità superiore a quelli odierni.

Ad esempio, nel settembre del 1884 in un articolo sul New York Times si descriveva il prolungato periodo di cielo coperto dalle polveri su gran parte degli Stati Uniti a causa dei roghi come accaduto anche nel 1881 e nel 1781.

Nel 1910 fu la volta del “Great Fire” che si portò via in due soli giorni 3 milioni di acri e fece 87 vittime.

Sempre meno roghi

Il fatto che il clima non sia l’unico e neppure il più rilevante fattore che spiega la diffusione degli incendi nel tempo è testimoniato dall’evoluzione del fenomeno a scala mondiale. Al contrario di quanto quasi tutti probabilmente pensano, la tendenza in atto da molti decenni è quella di una riduzione dell’area interessata dai roghi.


E, grazie all’aumento della CO2 in atmosfera, il pianeta “sorprendentemente”, come scrivono gli autori di un’analisi in materia da poco pubblicata e che conferma i risultati di altre ricerche, sta diventando via via più verde.

Ciò detto, l’aumento di temperatura nell’area di Los Angeles di circa 3°C rispetto all’epoca preindustriale ha già contribuito a rendere gli incendi più intensi e la riduzione delle emissioni a scala mondiale contribuirà a limitare l’impatto futuro del riscaldamento. Non di molto però: in base a una stima di P. T. Brown della Johns Hopkins University, con una blanda politica di mitigazione l’intensità dei roghi crescerebbe del 7 per cento e con una molto più radicale del 5,5 per cento. Se l’approccio più graduale fosse abbinato a una politica di riduzione della vegetazione lo scenario futuro sarebbe migliore di quello attuale, con una diminuzione della intensità stimata pari al 15 per cento.

Lotta al cambiamento climatico


Ma non sarebbe ancora meglio fare entrambe le cose: ridurre rapidamente le emissioni e adottare politiche di riduzione del danno? Non è così semplice, come dimostra l’esperienza della stessa California che, non diversamente dall’Unione Europea, ha voluto assumere il ruolo di prima della classe nella lotta al cambiamento climatico.

Nel 2006 ha adottato un piano che si prefiggeva di ridurre le emissioni di CO2 del 30 per cento entro il 2020.

L’obiettivo è stato raggiunto, anche se in parte grazie alla contrazione delle attività economica a seguito del Covid. Nei due anni successivi le emissioni sono nuovamente cresciute e nel 2022 sono risultate inferiori del 24 per cento rispetto al valore iniziale. Un’evoluzione simile a quella californiana si è registrata in Florida e Texas. In questi stati però la riduzione delle emissioni è stata ottenuta prevalentemente grazie a scelte di mercato e, in particolare, alla sostituzione del carbone con il più conveniente (e meno inquinante) metano. L’effetto dei due diversi approcci è evidente: nel dicembre 2024 il costo dell’energia elettrica in California è risultato quasi doppio rispetto a quello degli altri due stati; si tratta di un onere che grava soprattutto sulle persone a più basso reddito e che ha avuto come conseguenza l’esodo dell’industria manifatturiera e di altre industrie pesanti.

Pompieri senza acqua

Le più radicali politiche messe in atto a scala locale, poiché interessano una minuscola frazione delle emissioni mondiali, non hanno avuto alcun significativo impatto sul clima e, di conseguenza, sulla frequenza e sulla intensità degli incendi.

Nel breve e medio termine le uniche azioni rilevanti dei singoli Stati sono quelle relative all’adattamento. Come scritto sopra, quella più importante è la gestione delle foreste, con interventi di incendio controllato e di taglio di alberi per creare corridoi privi di vegetazione e tali da ostacolare il propagarsi del fuoco tra aree limitrofe. Vi è poi la gestione del rischio, che a Los Angeles sembra essere stata piuttosto lacunosa. Nel mentre si lanciavano proclami sulla salvezza del pianeta e ci si preoccupava molto di diversità, equità e inclusione, venivano tagliate le risorse disponibili per i vigili del fuoco e li si “disarmava” non garantendo sufficiente disponibilità di acqua per gli interventi di spegnimento dei roghi.

Meno utopia è più realismo e concretezza sarebbero stati utili a limitare i danni.