11 novembre 2024
di Francesco Ramella
Un disastro senza precedenti. La causa: il cambiamento climatico. Come fare perché non accadano più tragedie analoghe? Tagliare in fretta e furia le emissioni di CO2 e “zittire i negazionisti” come ha scritto Mario Tozzi su La Stampa.
Così si può sintetizzare la lettura largamente prevalente che è stata data della disastrosa alluvione che ha colpito la città di Valencia negli ultimi giorni di ottobre e il cui bilancio provvisorio è di 222 morti.
Sia la “diagnosi” che la “terapia” proposte sono prive di fondamento nella realtà.
Partiamo dal confronto con il passato sia in termini di intensità della precipitazione sia del numero di vittime.
Nel 2002 veniva pubblicato sull’International Journal of Climatology un articolo scientifico significativamente intitolato: “Classificazione degli andamenti delle pioggie giornaliere in un’area mediterranea con livelli di intensità estremi: la regione di Valencia”. Nelle conclusioni del paper si legge: “l’area oggetto dello studio (regione di Valencia) ha mostrato livelli di intensità straordinariamente elevati; è, infatti, una delle aree di maggiori precipitazioni giornaliere estreme nel Mediterraneo. Nel periodo di studio 1971–95 sono stati raggiunti valori di precipitazione giornaliera superiori a 800 mm. A nostra conoscenza, solo alcune località dell’Italia settentrionale i Pirenei orientali hanno mostrato totali simili. La massima registrata è stata di 817 mm a Oliva (3 novembre 1987). Del resto non si tratta di un caso isolato: il 2 ottobre 1957 a Jávea furono registrati 878 mm.”
Per quanto eccezionale, il recente evento di Valencia che ha fatto registrare una precipitazione complessiva pari a 772 mm nella giornata del 29 ottobre non è senza precedenti. E, a conferma di quanto scritto dagli studiosi con riferimento all’Italia settentrionale, il record per il nostro Paese è stato registrato a Genova il 7 ottobre 1970 quando nell’arco di ventiquattro ore caddero 948 mm di pioggia.
E, per quanto drammatico, il bilancio in termini di vittime è inferiore a quello di altri eventi verificatisi in Spagna nel passato. Tra di essi si possono citare la alluvione del 1973 nelle province di Murcia, Almeria e Granada con più di 300 vittime, quella provocata dal fiume Rubì nella provincia di Barcellona nel 1962 quando persero la vita più di 800 persone o l’alluvione di Santa Teresa nel 1879, ancora con ottocento morti: in quell’occasione si stima che in una sola ora caddero 600 mm di pioggia.
Se poi allarghiamo lo sguardo a tutto il mondo scopriamo che dal 1900 in poi ci sono state trecento alluvioni con più di 200 vittime e 67 con più di 1.000. In Cina nel 1931 i morti causati da inondazioni furono 3,7 milioni e 2 milioni nel 1959.
Anche tralasciando queste immani catastrofi più remote, se guardiamo agli ultimi decenni scopriamo come la mortalità per le alluvioni sia in calo: negli ultimi anni è risultata pari in media a sette vittime per 10 milioni di persone (in Italia una vittima per 10 milioni di persone).
Da inizio secolo non vi è evidenza di un aumento del numero di alluvioni: nel 2024 a fine ottobre se ne sono registrate 116 contro una media di 166 dal 2000 al 2023.
D’altra parte, è lo stesso IPCC che, pur segnalando l’aumento della frequenza delle precipitazioni intense in alcune parti del Mondo coerentemente con il fatto che un’atmosfera più calda può trattenere più umidità, evidenzia come un “segnale climatico” non sia finora emerso con chiarezza e che ci troviamo ancora nell’ambito della variabilità naturale del fenomeno.
Se il contesto nel quale inquadrare il disastro di Valencia fornito dagli organi di informazione appare dunque alquanto approssimativo non va molto meglio con i dettagli: per un paio di giorni sulle prime pagine dei giornali e nei tg ha avuto forte risalto la notizia del “parcheggio cimitero”.
Il Tg La7 è arrivato a scrivere: “trovati dai sub decine di cadaveri”. Si trattava evidentemente di notizie prive di alcun riscontro. Nel parcheggio, grazie a Dio, non è stato finora trovato nessun cliente del centro commerciale. Si diceva una volta che sono le cattive notizie a far vendere i giornali ma, se si esagera va a finire che l’esito è quello opposto e sempre più lettori seguiranno il consiglio che una volta diede Massimo D’Alema: “bisogna lasciarli in edicola”.
E veniamo al “che fare”? Tragedie come quella di Valencia non ci sarebbero se noi italiani ed europei tagliassimo ancor più velocemente le emissioni? Evidentemente no, visto che fenomeni simili sono sempre accaduti. Inoltre, la UE ha già ridotto di circa un terzo le proprie emissioni mentre quelle mondiali sono nel complesso quasi raddoppiati e oggi contribuisce solo per il 7%.
Il nostro clima futuro dipende dalla natura e per il 93% da quello che faranno gli altri per quanto concerne l’impatto antropico. Interamente sotto la nostra responsabilità sono invece le politiche di adattamento e di allerta (che a Valencia sembra essere stata fortemente carente). Sempre tenendo conto che le risorse a nostra disposizione sono limitate e che occorre confrontare costi e benefici ed essere consapevoli che il rischio zero non è desiderabile.
Da ultimo, una menzione speciale per il “Domani”. Lo scorso 4 novembre il quotidiano ha ospitato un commento del filosofo Gianfranco Pellegrino, docente alla Luiss, il quale sostiene che il “negazionismo deve essere reso un reato o un illecito da punire con ammende altissime”. E, si badi bene, negazionista non solo è chi, legittimamente, dissente dal consenso scientifico sul tema ma anche colui che esprime “dubbi sulla transizione ecologica, la pensosa discussione su modelli alternativi di sviluppo industriale, la critica al presunto ambientalismo ideologico: tutto questo non è discussione pubblica democratica ma diffusione di falsità pericolose”. L’autore conclude l’articolo scrivendo che “la morte di qualcuno in un parcheggio, intrappolato dal fango, è un dramma enorme” con implicito riferimento al caso di Valencia di cui abbiamo scritto sopra. In pratica, un caso di autodenuncia.