Per i beni comuni, proprietà pubblica ma gestioni in gara
La faccenda dei 30.000 stabilimenti balneari che incassano molte centinaia di
milioni all’anno (per chi le usa sono le più care d’Europa), mentre pagano allo
Stato noccioline per le concessioni, continua a fare scalpore, a fine vacanze. La
legge europea (la nota Bolkenstein) che richiede ormai dal 2006 che siano
messe in gara è prorogata all’infinito, con una brillante operazione di “voto di
scambio”. Storia identica come logica a quella delle “quote latte”, in cui tutti gli
italiani dovrebbero pagare le multe degli allevatori inadempienti, ma tanto
amici della Lega. I pochi che strillano e votano compatti l’hanno sempre vinta sui tanti che pagano e, non sapendo, tacciono. L’Europa non ama i monopoli, ma i politici italiani sì, eccome, tanto da dipingere le leggi europee pro-concorrenza come perfide interferenze di burocrati, invece che sacrosante tutele dei consumatori.
Ma vediamo più da vicino cosa vorrebbe dire fare gare per gli stabilimenti
balneari, che sono un “monopolio naturale” come le autostrade o gli aeroporti
(le spiagge non possono essere “costruite” da privati in concorrenza). La
considerazione che le gare devono risarcire gli investimenti fatti di chi c’è
adesso diamola per buona, anche se il fatto che finora han pagato noccioline e
fatto fiumi di profitti potrebbe far venire qualche legittimo dubbio.
Poi cosa succede? La normativa è vaga, di fatto dice solo che le concessioni
non possono essere eterne, poi lascia ampi spazi ai singoli Paesi. In prima
ipotesi la gara la vince chi offre più soldi allo Stato per continuare l’attività. Ma
questo per gli utenti è una fregatura: i vincitori alzerebbero i prezzi. Occorre
che la gara sia fatta stabilendo dei tetti alle tariffe per il pubblico. E questo
meccanismo infatti vale per tutte le infrastrutture. Lo Stato deve decidere
quanta rendita vuol pigliarsi lui di quella che prima si prendevano i gestori.
Qui la teoria economica un po’ può aiutare: le rendite fanno male all’economia
nel suo complesso (diminuiscono il “surplus sociale”). Quindi meglio nelle gare
imporre tariffe che ripaghino solo i costi vivi dei gestori per far funzionare gli
stabilimenti (compreso un ragionevole profitto sui soldi che investono loro, e i
costi vivi degli enti pubblici che possono avere nel gestire le spiagge, per la
sorveglianza ecc.
Ma questa storia delle rendite dei concessionari andrebbe vista dal nuovo
governo in termini molto più complessivi. Anche se il ministro Toninelli ha
difeso bene gli utenti delle autostrade dalle rendite dei concessionari, (anche
se non è affatto certo che la battaglia sia vinta), rendite ce ne sono ancora
tantissime, per esempio negli aeroporti, ma anche nel settore pubblico. Qui non vengono rapinati gli utenti, ma i contribuenti: l’assenza di gare maschera
inefficienze che poi vengono pagate (e mascherate) con sussidi “per obiettivi
sociali”. Sacrosanti questi obiettivi, ma i sussidi potrebbero essere molto più
bassi se le gare avessero prima garantito che i gestori fossero quelli più
efficienti, cioè quelli che, a parità di obiettivi sociali da raggiungere,
chiedessero meno sussidi.
Prendiamo due casi di infrastrutture pubbliche più noti e clamorosi: la rete
ferroviaria e le reti idriche. E’ giustificatissimo che la proprietà di queste reti
rimanga pubblica. Possiamo chiamarli “beni comuni”, come piace a molti,
anche se il nome tecnico è “monopoli naturali”, come si è detto.
Non è possibile costruire reti in concorrenza a queste due. Sarebbe un
incredibile spreco di soldi, ed effettivamente gli obiettivi sociali potrebbero
essere compromessi dalla proprietà privata di tali reti.
Ma cosa c’entra invece la gestione di questi “beni comuni” che rimangono
pubblici? Gli obiettivi sociali sono che queste reti producano buoni servizi a
prezzi bassi, o addirittura servizi gratuiti, se così si decidesse politicamente. Per ottenere più servizi sociali, o prezzi più bassi per chi li usa, occorre
assolutamente che le imprese che gestiscano questi servizi siano le più
efficienti possibili, e le meno legate a pressioni politiche e clientelari possibili (il
“voto di scambio” di cui si è detto). La gestione pubblica delle reti dell’acqua, è
stranoto, a causa di gestioni clientelari hanno lasciato delle manutenzioni non
fatte per almeno trenta miliardi, che qualcuno dovrà pagare. E ragionamenti
del tutto simili si possono fare per la gestione della rete ferroviaria, che costa ai contribuenti cifre rilevantissime.
L’unica strada per ottenere risultati efficienti, in tutto il mondo, non è fare
prediche ai manager, spesso di nomina politica, anzi, partitica, ma metterle in
gara periodicamente, cioè verificare nella realtà chi ha la capacità e le
tecnologie per garantire quei buoni servizi e quei bassi prezzi che sono il vero e
l’unico obiettivo sociale legittimo. E se il vincitore si comporta male, si sogna
poi ovviamente di vincere la gara successiva. Certo, c’è il pericolo che
l’impresa più efficiente, che vince la gara, sia straniera, ma forse adesso
possiamo sperare che il motto “prima gli italiani” non sia usato per bloccare i
miglioramenti possibili ai servizi che gli italiani useranno.
Marco Ponti