16 febbraio 2023

di Francesco Ramella

Un quarto di secolo fa C. Gerondeau scriveva nel suo volume “Trasporti in Europa” (circolato in Italia a livello di samizdat) che: “Una delle idee oggi più diffuse e popolari in materia di investimenti nei trasporti è che la strada può venire alleggerita trasferendo una parte del traffico verso altri tipi di trasporto. Questo concetto di trasferimento domina la politica dei trasporti europea e quella di numerosi singoli paesi.

Apparentemente sembra ispirata al buon senso. Non è forse irritante vedere, accanto a infrastrutture stradali sovraccariche, il patrimonio nazionale costituito da ferrovie e vie d’acqua così mal utilizzato? Non prevale forse l’impressione che vi siano troppi veicoli su molte nostre strade, e che sarebbe meglio se ce ne fossero di meno?

Questa idea di “buon senso” si fonda tuttavia su un postulato smentito dai fatti: quello che sia possibile sostituire alla strada altri modi di trasporto. A meno che si adottino misure coercitive, l’esperienza dimostra che questo trasferimento non si è mai verificato. L’idea è seducente ma non funziona. I mercati sono diversi e molto spesso di ordini di grandezza differenti. Questa è la conclusione a cui conduce l’esame di tutti gli esempi concreti conosciuti”.

Nel 2001 la Commissione Europea pubblicava il “Libro Bianco dei Trasporti”. Nella prefazione di quel documento di indirizzo della politica dei trasporti a scala continentale si legge che: “L’Europa deve assolutamente compiere una svolta nella politica comune dei trasporti. È giunto il momento di fissare nuove ambizioni: riequilibrare in chiave sostenibile la ripartizione modale”. Meno auto, camion e aerei, più treni e metropolitane.

Ancora lo scorso novembre, su questo giornale, Andrea Giuricin sosteneva che: “lo shift modale è uno dei principali obiettivi della nostra società oggi”.

Ebbene, i due mezzi che hanno fatto registrare la maggior crescita tra il 1995 e il 2019 in Europa sono quello stradale e quello aereo (Figura 1), la quota modale dell’auto sul totale dei trasporti terrestri è rimasta pressoché invariata per i passeggeri ed è superiore all’80% per tutti i maggiori Paesi (Figura 2).

Figura 1 – Domanda di mobilità dei passeggeri nella EU-27 dal 1995 al 2019
Figura 2 – Ripartizione modale della domanda di mobilità terrestre delle persone (passeggeri-km) nei principali Paesi europei e nella EU_27 – Anno 2019

Il trasporto di merci su strada è cresciuto in misura pari a venti volte quello su ferrovia (Figura 3) e la Germania è l’unico tra i maggiori Paesi che ha visto una significativa crescita della merce movimentata sui binari.

Figura 3 – Domanda di mobilità delle merci nella EU-27 dal 1995 al 2019

Se si paragonano strada e ferrovia in termini di spesa di imprese e famiglie il divario risulta ancor più ampio di quello relativo alle quantità fisiche: la “quota di mercato” del trasporto stradale risulta in Italia pari al 96% per le persone e al 98% per le merci (Figura 4). In termini di traffico il trasporto di merci su ferrovia rappresenta un mero 2% di quello su gomma. Forse per la prima volta, nello scorso mese di ottobre se ne è preso atto anche in un documento ufficiale del MIMS.

Figura 4 – Ripartizione modale della domanda di mobilità delle merci terrestri in Italia in quantità, flussi di traffico e fatturato

Tale condizione di “squilibrio modale” si manifesta a valle di ingenti trasferimenti di risorse alle imprese ferroviarie in Italia così come in Europa (Figura 5) e di un elevata tassazione (in Italia in misura pari a circa il triplo della spesa pubblica di settore) del trasporto stradale (Figura 6).

Figura 5 – Trasferimenti pubblici alle imprese ferroviarie in sei Paesi della UE (Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Svezia) – Anni 2001 – 2015

Figura 6 – Entrate fiscali del settore del trasporto stradale in alcuni Paesi europei – Anno 2019

Nel nostro Paese il tasso di motorizzazione è tra i più alti in Europa ma l’uso dei veicoli è basso per cui la percorrenza media pro-capite è più bassa della media europea. L’Italia si caratterizza inoltre per avere un tempo medio di spostamento casa-lavoro tra i più bassi della UE.

Gli ultimi decenni hanno visto nei Paesi occidentali una radicale riduzione delle emissioni di inquinanti atmosferici pur in presenza di un aumento della mobilità e dei consumi energetici e, di conseguenza, un notevole miglioramento della qualità dell’aria che è stato conseguito pressoché esclusivamente grazie alla innovazione tecnologica nei diversi settori e che è destinato a proseguire, in assenza di ulteriori misure normative, nei prossimi anni.

Nella quasi totalità dei punti di rilevamento in Italia vengono già oggi rispettati i limiti in vigore per i due principali inquinanti: le polveri sottili e il biossido di azoto (Figura 7) ma quasi nessuno sembra però essere al corrente di tale realtà: in base ai risultati di un sondaggio di Eurobarometro ne sono consapevoli solo tre italiani su cento. Sono ancora possibili miglioramenti ma relativamente contenuti rispetto a quelli già conseguiti finora.

Figura 7 – Superamento dei limiti di legge (media annuale) per PM10, PM2.5 e NO2 nei punti di campionamento in Italia – Anno 2019