Le Ferrovie dello Stato italiane sotto la lente della finanza pubblica: una ricerca che non ha precedenti e che parte dal secondo dopoguerra per arrivare fino ai giorni nostri.
Da cosiddetta «agenzia di collocamento», aliena al concetto di impresa e di libera concorrenza, a SpA degli anni Duemila. Grandi investimenti, ma l’amara constatazione che la sostanza economica e politica ha però conservato il suo lato più novecentesco.
E poi la quantificazione economica dei costi netti del sistema per lo Stato, i cui numeri sono crudeli: in euro 2019, nell’ultimo trentennio, l’onere pubblico, al netto dei ricavi, è stato dell’ordine dei 470 miliardi, pari a quasi il 20% del debito pubblico. Questo, a fronte di un ruolo economico nel sistema dei trasporti terrestri molto limitato: la spesa di famiglie e imprese per i servizi ferroviari è intorno al 2-3% del totale. Per poi scoprire, inoltre, che le motivazioni sociali e ambientali che sono alla base dell’ingente impiego di risorse emerso dall’analisi condotta e qui pubblicata – pur non prive di fondamento sono assai meno cogenti di quanto abitualmente prospettato. Ma gli autori di questo libro ci forniscono strategie possibili e – è il caso di dirlo – a lunga percorrenza.