22 dicembre 2021
di Alfredo Drufuca, Paolo Beria e Francesco Ramella
L’ampia diffusione dei dehors di bar e ristoranti che si è registrata nelle nostre città a seguito delle misure adottate per la pandemia Covid sta sollevando forti polemiche per la riduzione dei posti auto che ha comportato; nella sola città di Milano si parla di 2000 posti auto.
Questo pone all’amministrazione pubblica un concreto problema decisionale che offre un interessante spunto di riflessione per il post pandemia.
Si tratta infatti di paragonare il valore economico di due differenti usi dello spazio: da una parte per attività di somministrazione, di cui fruiscono gestori degli esercizi e avventori, e, dall’altra, per parcheggiare automobili.
Si potrebbe assumere come misura minima del primo il maggior surplus del gestore, e perché un gestore decida di realizzare un dehor occorre ovviamente che il suo costo sia inferiore a tale incremento.
A Milano il canone medio per un’occupazione permanente di uno stallo di sosta era pari, prima della pandemia che ne ha (temporaneamente) annullato i costi, a circa 1500 €/anno, ma la domanda per tali occupazioni non era certo elevata quanto quella cui oggi assistiamo.
Se ne dovrebbe dunque dedurre che il surplus generato da quell’occupazione sia, per i molti gestori che non ne avevano fatto prima ricorso, inferiore a tale tutto sommato modesta cifra (il costo di realizzazione di un dehor di buona qualità è dell’ordine di € 10 000).
Il bilancio andrebbe però corretto con l’aumento del benessere collettivo che deriva dalla migliore qualità e fruizione dello spazio urbano, quale in genere si ottiene dalla sostituzione di poco attrattive auto in sosta con luoghi attrezzati di vita sociale (lo sarebbe assai di più se, come avviene in altri paesi, l’uso dei dehors restasse libero e non legato in via esclusiva alle imprese che lo gestiscono).
Una misura del secondo uso, cioè la sosta, è data dalla disponibilità a pagare degli automobilisti: l’incasso garantito da uno stallo utilizzato a rotazione in una zona centrale attrattiva di una grande città è nell’ordine dei 3000 €/anno, per scendere a 1000/1500 €/anno nelle zone meno centrali e a 5/700 in quelle più periferiche.
Si tratta come ben si vede di un bilancio non chiaramente orientato a favore dell’una o dell’altra scelta e che meriterebbe un ragionamento più attentamente declinato nelle diverse situazioni.
Vi è però un terzo utilizzo, oggi prevalente, che è quello della sosta gratuitamente concessa ai residenti.
Tale gratuità significa implicitamente che i decisori pubblici ritengono la disponibilità a pagare da parte dei residenti per avere il permesso di parcheggiare prossima allo zero, visto che pochissime amministrazioni comunali hanno sino a oggi osato imporre ai residenti la tariffazione della sosta per timore delle loro rivolte (quantomeno elettorali); ovvero altissima, talché non esisterebbe un utilizzo alternativo che produca maggiori vantaggi per la collettività tutta. Entrambe assunzioni evidentemente non ragionevoli. L’esito di questa rinuncia è alla fine assai negativo, dato che impedisce di adottare l’unico strumento –la tariffazione- che consente di governare nell’interesse pubblico l’allocazione della risorsa scarsa dello spazio urbano, lasciando alla occupazione selvaggia di ogni superficie pubblica e alle maggiori o minori ‘vocalità’ dei diversi attori il compito di farlo