7 luglio 2022
di Marco Ponti
Vi ricordate le stelle dei 5 Stelle? Quasi nessuno se ne ricorda più, ma una era “No alla TAV”. Ovviamente il significato politico di quel “No” era “No a grandi opere fatte con i soldi dei contribuenti, e delle quali non sia verificata la reale necessità”. Per un’opera singola non avrebbe avuto proprio nessun senso, era contro spese solo finalizzate al consenso politico e alla gioia dei costruttori. Loro erano diversi.
E infatti furono promosse dal governo giallo-verde nel 2018 analisi sistematiche dell’utilità di grandi opere, con lo strumento considerato il più adatto, cioè l’analisi costi-benefici sociali. Si iniziò con opere per 27 miliardi, quattro al Nord e una al centro, dell’utilità delle quali esistevano forti dubbi. I tecnici incaricati, intrepidamente guidati da chi scrive, trovarono che si trattava davvero di sprechi di soldi pubblici i per tre di queste, mentre per due sarebbero stati ben spesi. Ovviamente si scatenò una vivace campagna mediatica contro le analisi negative: in Italia non se ne erano mai viste prima. Si rompeva una gloriosa tradizione, certi interessi non si toccano, perbacco.
Ma poi nei 5 Stelle il vento cambiò. E che cambio…
Qualcuno nel Movimento, senza darne notizia agli elettori (a cosa servirebbe?), né avvisarne i poveri esperti che si affannavano a fare i conti, decise che bisognava dire di sì a tutto, escluso alla TAV (si suppone per motivi simbolici). Addio razionalità economica e lotta agli sprechi dei soldi dei contribuenti, residui di idee ormai obsolete.
I tecnici ne ebbero notizia solo dai giornali nei primi mesi del 2019, quando i 5S siciliani fecero gridolini di giubilo per miliardi di opere destinate alla Sicilia, dove casualmente era massimo il loro consenso elettorale, senza alcuna richiesta di verifica, non diciamo economica, ma nemmeno se c’erano passeggeri sufficienti, probabilmente molto pochi. La comunicazione ufficiale, “mai più un NO a nessuna opera” fu data agli allibiti tecnici il 29 marzo, e l’incarico sostanzialmente fini lì.
Per inciso, emerse che i dati della TAV piacevano tanto poco ai francesi, che dichiararono che fino al 2038 dalla loro parte del tunnel non investivano un Euro che fosse uno. L’Italia considerò la cosa irrilevante (siamo ricchi!), ma recentemente la Commissione Europea sembra eccepire, e non dar più soldi se i francesi non intervengono radicalmente, e a suon di miliardi, sulla loro tortuosa linea attuale.
Ma quel pur mai dichiarato riallineamento dei 5S alla prassi consolidata del cemento ovunque, è stato gravido di conseguenze economiche e politiche nefaste: verificato che non c’era più opposizione all’allegro modo tradizionale di procedere, quegli stessi interessi si sono tranquillizzati nel perseguire la berlusconiana logica delle Grandi Opere ovunque. Una visione dello sviluppo del paese veramente degna di un secolo fa.
Il PNRR è la massima espressione di questa innovativa logica: 62 miliardi sono allocati a grandi opere, soprattutto ferrovie, e soprattutto al Sud. Per sicurezza, la verifica della loro utilità economica e ambientale è stata affidata alle stesse Ferrovie dello Sato, destinatarie dei fondi senza nemmeno obblighi di ammortamenti o simili inutili fastidi. Loro certo della materia ne capiscono, e sicuramente non saranno turbati dal piccolo conflitto di interessi, che diamine. Le analisi emerse finora giungono sempre a risultati straordinariamente positivi. E come potrebbe mai essere diverso, visto che quei progetti, oltre al conflitto citato, erano già stati approvati in anticipo in sede politica? Per dare un’idea degli immotivati dubbi che potrebbero venire ad alcuni malpensanti, si ricorda che il maggiore dei progetti, il raddoppio AV della linea attuale, rimodernata e lontana dalla saturazione, tra Salerno e Reggio C. determinerà un risparmio di tempo di ben 40 minuti, decisivi per lo sviluppo del Sud (per ogni dettaglio sul progetto e sulle logiche con le quali è valutato si rimanda al sito di BRTonlus).
Ma per fortuna ora abbiamo anche un fantastico piano decennale di investimenti ferroviari e stradali di 190 miliardi in 10 anni, quasi tutti a spese dei contribuenti, ma questo dettaglio chissà perché, FSI si è dimenticato di ricordarlo al vasto pubblico. Ma non serve, sono tutti più contenti così. E il futuro debito dello Stato è così lontano…
Ovviamente non è pensabile che il gruppo di maggioranza relativa in parlamento non si unisca all’entusiasmo per questa strategia, ed infatti sulla carta ha perfettamente ragione a farlo: le grandi opere inutili sono perfette per il consenso. Tutti sono contenti, sindacati, politici locali e centrali, costruttori (c’è poca concorrenza, tutti fastidi in meno), gli utenti, anche se pochi, e forse anche qualche altra organizzazione meno simpatica (c’è una forte tradizione in proposito). Chi paga, cioè i contribuenti, non lo saprà mai, e i politici non risponderanno mai di sprechi. Perfetto, no?
Non sembra però che gli ultimi arrivati a questa fondamentale constatazione, i 5S, ne abbiano avuto grandi benefici di consenso: il modello originale è sempre più affidabile di quello scimmiottato.
La nuova stella non splende affatto. Forse bisogna lucidarla.