Ottobre 2022

di Marco Ponti

Una legge per la concorrenza con modesti miglioramenti

Nell’elenco delle cose non fatte e che si dovevano fare ci sono molte cose. E di quelle fatte, alcune era meglio non farle.

La legge sulla concorrenza, che è entrata da poco in vigore, è stata rimandata più volte, tanto che ha ancora la denominazione 2021, e dovrebbe essere annuale, ma il tema interessa talmente la politica italiana che di fatto si fa quando capita. I taxi comunque sono stati stralciati (un pessimo segnale di cedimento alle corporazioni).  Per i servizi locali, tra cui i trasporti (Cap.3 art. 8 e 9), comunque c’è stata apparentemente una accelerazione per i relativi decreti attuativi che forse potranno attenuare le istanze anticoncorrenziali che sembrano dominanti in diversi schieramenti politici (in effetti il monopolio per il consenso elettorale è molto meglio, i monopolisti, e i loro addetti e fornitori, stanno più tranquilli, e non c’è il rischio dell’avvento di pericolosi invasori stranieri, magari più efficienti…).  

Ma occorrerà valutarne gli impatti: in realtà nelle pieghe della nuova legge vi sono ancora molte scorciatoie per evitare agli enti locali di fare gare vere, cioè in cui possa vincere davvero un concorrente diverso dall’incumbent, cioè da quello che c’era prima (inutile ricordare che invece di gare finte abbiamo una solida esperienza).

Ora, il problema maggiore sarebbe capire perché esista questa sorda, ma a volte esplicita, opposizione a un sistema di gare, se non si vuole accettare l’ipotesi di sistematici “voti di scambio”, o peggio.

Sarebbe comprensibile l’opposizione ad una vera liberalizzazione “nel mercato” dei servizi, ma questa opposizione riguarda solo verificare se è possibile ottenere i servizi di trasporto locale alle stesse tariffe con meno sussidi, o ottenerne di più, o abbassarne le tariffe. Cioè non si vuole verificare se con una forma di concorrenza assai limitata, come è avvenuto con pieno successo nel resto d’Europa continentale, si può migliorare la socialità del servizio offerto.

Il decreto citato sembra in effetti separare più nettamente i meccanismi di assegnazione dei servizi nel caso l’ente locale sia anche concorrente, gareggiando con la sua impresa. Tuttavia per esempio sembra mantenere facoltativa la suddivisione in un numero adeguato di lotti separati anche nelle città maggiori. In caso di un lotto unico per città come Roma Napoli o Milano, chi mai concorrerebbe contro le imprese comunali, sapendo poi che in caso di vittoria avrà come controparte l’ente la cui impresa ha perso la gara? Ente che poi ha tutti gli strumenti per rendere la vita difficile all’incauto vincitore.

Un altro aspetto da interpretare è quello degli affidamenti diretti, o “in house”. E’ richiesta una completa documentazione, economica e tecnica, per usare questa fonte di affidamento, ma non è chiaro se poi l’Autorità regolatrice preposta, l’ART, abbia pieno diritto di respingere una documentazione che non risultasse adeguata, ri-imponendo la gara.

Nemmeno per il settore aereo ed autostradale si sono viste riforme rilevanti

La compagnia aerea pubblica ITA, che è succeduta alla gloriosa Alitalia e perde altrettanti soldi, è stata venduta, ma per il 49% rimane pubblica. Sembra ovvio che si vuole mantenere a quella impresa una solida protezione dalla concorrenza, visto che di nuovo non potrà fallire qualsiasi cosa faccia. Tutto sembra ripetersi, visto che è proprio la certezza del salvataggio pubblico, sempre avvenuto, che ha costituito la causa principale dei ripetuti dissesti della “compagnia di bandiera”, che la bandiera aveva certo sulla coda, ma a cui ha fatto fare  figure molto poco brillanti.

La vicenda della buonuscita plurimiliardaria ad Autostrade per l’Italia (AspI) è non solo stupefacente e scandalosa in sé (sembra un premio per il crollo del ponte di Genova, con le vittime relative), ma sarà fatta pagare ancora agli utenti, che pure quelle infrastrutture le hanno già ampiamente ammortizzate. E anche la vicenda della “revoca revocata” delle autostrade abruzzesi è un altro episodio molto poco edificante, e suona come un goffo tentativo di “mostrare i muscoli” con un interlocutore che forse non ha imbarazzanti storie da raccontare, come potrebbe essere il caso di AspI.

E per le ferrovie di riforme non si è proprio parlato, anzi…

Soprattutto non c’è traccia di innovazioni regolatorie per il settore ferroviario, che assorbe una grande quantità di risorse pubbliche, dell’ordine dei 10 miliardi annui. Questo rimane un tema davvero intoccabile. Una volta dimostrato (nei fatti, non in teoria) che sulla rete possono operare con successo aziende in competizione tra loro, nell’Alta Velocità con Italo, e nelle merci con molti operatori, sembra difficile trovare giustificazioni per mantenere in mano pubblica una parte di questi servizi. Questo con la conseguenza di alterare il mercato due volte: mantenendo una situazione di operatori privati in competizione con soggetti pubblici che non possono fallire, e questi ultimi mantenendoli anche “integrati verticalmente” con l’infrastruttura, entro la stessa società FSI. Due vantaggi sostanziali, a parte gli aggiustamenti formali.

E perché non aprire alla competizione i servizi ferroviari locali (grande successo delle gare tedesche), e quelli di lunga percorrenza non-AV, puntando a esiti come quelli conseguiti aprendo la concorrenza nell’AV? Qui si sono avute sia riduzioni tariffarie che servizi più frequenti, rispetto ad una situazione di monopolio. Difficile pensare a una pura fatalità, se invece per questi due servizi non si presentano concorrenti.

In compenso si è fatto un grandioso piano di investimenti ferroviari per il PNRR. Un fiume di risorse finanziarie per una serie di opere, soprattutto nel mezzogiorno, a totale carico delle casse pubbliche. Apparentemente la razionalità di tali opere è risultata un pò dubbia ai proponenti stessi, per cui per non rischiare sorprese si è deciso di affidarne gli studi di fattibilità allo stesso destinatario dei fondi (FSI), che si è visto costretto, per giustificare scelte difficilmente giustificabili, a sviluppare una metodologia di valutazione per lo meno discutibile, che sembra in grado di trovare fattibile tutto e il contrario di tutto (e crea  paradossi comprovabili, quale la convenienza sociale a non effettuare viaggi anche in assenza di costi ambientali). Per i dettagli, si veda il sito di BRT onlus.

E anche dal punto di vista ambientale queste opere suscitano perplessità: essendovi un gran numero di manufatti, soprattutto gallerie, che generano molte emissioni in fase di costruzione, ed essendo assai incerte le previsioni del traffico sottraibile alla strada, vi è il concreto rischio di un risultato del tipo conseguito in Spagna, dove più di un terzo delle linee AV ha determinato un danno netto all’ambiente. Tuttavia negli studi di fattibilità per il PNRR finora visti, sempre per sicurezza, i costi ambientali di cantiere non sono neppure stati calcolati.