14 settembre 2024

di Francesco Ramella

Pochissimi torinesi probabilmente lo sanno – tra tutti gli italiani sono solo tre su cento – ma la qualità dell’aria nella città nell’ultimo mezzo secolo è radicalmente migliorata. Per rendersene conto è sufficiente sfogliare i Rapporti annuali dell’ARPA: i grafici mostrano come dai picchi degli anni ’70 si scende progressivamente a valle; per i principali inquinanti la concentrazione attuale è una modesta frazione di quella del passato. Il merito di questo risultato va ascritto quasi esclusivamente alla innovazione tecnologica che, ad esempio, ha consentito di ridurre di oltre il 90% le emissioni unitarie (per chilometro percorso) delle auto. Dal punto di vista dell’inquinamento, è come se sulle strade di Torino circolassero oggi molti veicoli in meno di qualche decennio fa. Grazie ai ricercatori e agli ingegneri delle case automobilistiche (e a quelli che operano negli altri settori) abbiamo buttato buona parte dell’aria sporca senza dover sacrificare il bambino della mobilità individuale che, anzi, si è irrobustito ed è diventato un uomo.

Non tutti i parametri di qualità dell’aria previsti dalla normativa vigente sono però rispettati e gli amministratori locali sono stati accusati di non aver fatto tutto il possibile per ridurre ulteriormente i livelli di inquinamento. Nelle motivazioni della sentenza di assoluzione di Chiara Appendino, Sergio Chiamparino e Piero Fassino, rese note la scorsa settimana, si legge che, per rientrare nei limiti di legge, sarebbe stato necessario imporre “il divieto pressoché assoluto dell’utilizzo dei mezzi di trasporto” e che “l’adozione di simili misure avrebbe presentato evidenti criticità rispetto alla tutela di altri interessi altrettanto meritevoli di attenzione” quali “la libertà di circolazione delle persone, la tutela dell’occupazione e delle attività economiche che vengono inevitabilmente pregiudicate dal blocco del traffico e misure analoghe”.

Si può aggiungere che, quasi certamente, neppure il blocco sarebbe stato sufficiente. I parametri europei non sono stati rispettati neppure nel periodo del Covid pur con una riduzione della mobilità di oltre l’80%. D’altra parte, nel caso delle polveri fini, uno studio della Commissione Europea attesta come a Torino il contributo del traffico cittadino sia pari solo al 5%.

Il problema politico che la sentenza fa emergere è quello della definizione aprioristica di limiti da rispettare, omogenei per tutta l’Europa, e che si vorrebbero ulteriormente abbassare. Non vi è in realtà una soglia unica ottimale e ciascun territorio  dovrebbe adottare solo quei provvedimenti i cui benefici superano i costi. Nel settore della mobilità oggi questa condizione è verificata solo in casi molto rari. In generale, la cura è peggiore del male e sarebbe da evitare come una terapia i cui effetti collaterali sono più rilevanti degli effetti positivi conseguiti.

Lungi dall’aver tenuto un comportamento censurabile, non attuando politiche dannose gli amministratori hanno agito nell’interesse della collettività. Spesso accade il contrario.