
di Francesco Ramella
17 giugno 2025
Vietato vietare. Il vecchio slogan sessantottino potrebbe utilmente essere riesumato per le auto sulle quali sta per abbattersi l’ennesimo provvedimento restrittivo: dal primo ottobre, nei comuni con più di 30mila abitanti in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna non potranno più circolare le auto diesel con standard di emissioni Euro5 come previsto dal decreto 121/2023. Il provvedimento legislativo si propone di dare attuazione a due sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, una del 2020 e l’altra del 2022, che condannano l’Italia per il mancato rispetto della normativa relativa alla qualità dell’aria e, più nello specifico, dei limiti relativi alla concentrazione di polveri sottili (PM10) e di biossido di azoto (NO2).
Qual è la nostra colpa? Inquiniamo più degli altri? No, anzi. Per entrambi gli inquinanti le emissioni pro-capite dell’Italia sono tra le più basse in Europa.
E sono state drasticamente ridotte negli ultimi decenni con conseguente radicale (ma sconosciuto ai più) miglioramento della qualità dell’aria.

Emissioni di inquinanti atmosferici in Italia
Il valore limite annuale per il PM10 è rispettato su tutto il territorio nazionale ad eccezione di qualche isolato valore. E così quello del biossido di azoto che è soddisfatto in 606 stazioni su 617, pari al 98% dei casi. Il valore limite giornaliero per le polveri sottili è rispettato in 83 casi su 100; gli sforamenti sono in prevalenza nell’area del bacino padano colpevole di…essere circondato dalle Alpi con conseguenti condizioni molto più sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti in atmosfera rispetto alle altre zone dell’Europa. Non è, ovviamente, un fattore sul quale sia possibile intervenire con un’azione governativa (a meno di non voler riesumare la bizzarra idea del signore che a Portobello, per migliorare la ventilazione in Val Padana, propose di radere al suolo il passo del Turchino).
L’esperimento involontario condotto nel 2020 in occasione del lockdown ha mostrato come gli attuali limiti e, a maggior ragione, quelli ancora più stringenti che entreranno in vigore nel 2030, non possono essere rispettati nel bacino padano neppure con una riduzione della mobilità di oltre l’80% anche perché per le polveri sottili, l’inquinante più dannoso, il contributo di auto e camion è minoritario, intorno al 20%.
Ogni politica, così come ogni terapia, comporta non solo benefici ma anche effetti collaterali negativi.
La decisione di attuarla o meno dovrebbe sempre essere preceduta da una valutazione di entrambi: un’aria più pulita è ovviamente un beneficio ma non ogni riduzione dell’inquinamento è desiderabile; se così fosse dovremmo vietare da subito non solo ogni forma di mobilità ma tutte le attività che hanno un qualche impatto negativo.
Provvedimenti come il divieto di circolazione per gli Euro5 hanno costi di gran lunga superiori ai benefici e, pertanto, non dovrebbero essere adottati.
Una politica ragionevole è quella basata sul principio, in teoria sostenuto dalla stessa UE, del “polluter pays”: chi inquina, paga.
Ora, è la stessa Commissione Europea, a dirci quanto vale l’inquinamento atmosferico causato da una persona che si sposta in città con un’auto diesel Euro5: 1,04 centesimi di euro per chilometro. Se in un anno costui percorre 10mila chilometri, il danno complessivo è pari a 104 €, solo 18 € in più di chi possiede una Euro6 che, almeno per ora, continua a poter circolare.

Costo esterno dell’inquinamento atmosferico di un’autovettura diesel in ambito urbano
A fronte di questo “costo esterno”, la stessa persona versa alla collettività intorno ai 500€ di tasse sul gasolio. Fatta eccezione per i veicoli più vecchi, chi inquina, in Italia e in Europa, paga già fin troppo anche tenendo in considerazione gli altri impatti ambientali.
Non servono altri divieti, incentivi all’acquisto di auto nuove o limiti imposti a tutti da Bruxelles a prescindere dalle condizioni particolari di ogni territorio.
Il problema, peraltro, non si limita all’inquinamento atmosferico. È identico per le emissioni di CO2 e, più in generale, per le politiche dei trasporti. Da decenni la UE e i singoli Stati promuovono il cosiddetto riequilibrio modale: meno strada e più ferrovia. Si fissano obiettivi da raggiungere (mai conseguiti) e si spendono centinaia di miliardi dei contribuenti europei sulla base dell’argomentazione – corretta – che il treno ha un minore impatto ambientale di auto e camion. Anche in questo caso, come per i limiti dell’inquinamento atmosferico, tranne poche eccezioni come la Milano – Napoli, i costi di costruzione e gestione superano di gran lunga i benefici (compresi quelli per chi viaggia) e, quindi, la realizzazione delle opere danneggia la collettività pur generando un limitato e decrescente nel tempo vantaggio ambientale.
Chi scrive, avendo contributo alla redazione di una valutazione molto negativa della nuova linea ferroviaria Torino – Lione, fu accusato dal Commissario del Governo, Paolo Foietta, di “costruire i presupposti per trasformare la valle di Susa in una camera a gas”.

Peccato che, anzi per fortuna, in Valsusa, come ovunque, la qualità dell’aria è oggi molto migliore di trent’anni fa quando si iniziò a discutere di TAV e in futuro sarà migliore di oggi grazie a camion e auto sempre più puliti.
Per non farci del male, servono meno direttive, meno finanziamenti europei, più sussidiarietà e più valutazioni.