Emissioni dei viaggi in aereo: se Zoom è più importante del treno

Che l’aviazione sia una grossa fonte di emissioni climalteranti e che il suo trend sia uno dei più preoccupanti è cosa nota. Purtroppo, però, a mobilità data il trasporto aereo è semplicemente insostituibile, dato che non esistono alternative per spostarsi ragionevolmente per migliaia di km in meno di un giorno.

Ma, almeno, potremmo evitare i voli brevi. Da questa considerazione è nato un movimento – o una filosofia – detto in svedese flygskam o flight shame: la vergogna di volare. Questa visione è, in qualche caso, diventata anche una politica, in particolare nelle università ed in particolare nel nord Europa, dove in alcuni casi è vietato o sconsigliato o disincentivato fare missioni in aereo sul corto raggio.

Per capire quale sia l’effetto di tali scelte, un recente studio di Paolo Beria, ha quantificato le emissioni di tutte le 17000 missioni autorizzate del Politecnico di Milano nel 2019. I viaggi sono stati geolocalizzati e sono state calcolate le emissioni nei vari modi. Il quadro che esce è interessante e, forse, un po’ inatteso.

Italia ed Europa sono le destinazioni principali, con Germania e Francia in testa. Ma la quarta destinazione è già intercontinentale: gli USA, con oltre 500 missioni. In termini di emissioni, il contributo dei moltissimi viaggi sotto gli 800 km è minimo e ancora meno sono le emissioni dell’aereo. Il motivo è semplice: da Milano, fino ai 600 km, l’aereo quasi non esiste. A 800 km la ferrovia ha ancora la metà della quota modale (grazie all’AV in Campania). A 700 km si ha un massimo locale di uso dell’aereo: è il sud della Germania, con tanti viaggi e pochi treni. A 900 km il treno crolla al 10% e poi via via si annulla.

La quota di emissioni “aggredibili” è quindi una frazione piccolissima. Politiche anche molto aggressive, come forzare tutti i viaggi fino a 800 km che avvengono in aereo sul treno, ridurrà le emissioni del Politecnico (non di tutto il Politecnico, ma solo delle emissioni dovute ai viaggi!) di solo il 3,2%. Politiche un po’ più ragionevoli dimezzano questo già scarso risultato.

Che fare quindi? Ci sono due strade: ridurre le emissioni dei medesimi viaggi o ridurre i viaggi.

Esistono alcuni margini di miglioramento grazie agli investimenti in corso (tunnel alpini, recenti acquisti di materiale rotabile nuovo, concorrenza sui binari). Ma resta il fatto che il treno è una soluzione solo su distanze di 100-800 km se c’è l’AV o di 100-500 se non c’è. I treni notturni possono essere una soluzione per alcune destinazioni ma necessitano di sussidi pubblici e non sostituiscono i voli per alcuni tipi di missioni.

Il secondo fronte è – secondo l’autore dello studio – più promettente: per ridurre davvero le emissioni non basta lavorare faticosamente al margine, ma è molto più efficace colpire il cuore del problema: i molti viaggi lunghi, invece dei pochi voli brevi: una missione in meno in Australia equivale a spostare sul treno treno 23 viaggi a Monaco di Baviera. Quindi il grosso della riduzione dell’impronta di carbonio arriverà dal teleconferencing (che pure ha delle emissioni importanti dovute ai server) più che dal cambio modale forzato.