20 novembre 2024
di Marco Ponti
La crisi dell’automotive ha assunto in Europa e in Italia dimensioni preoccupanti, sia sociali che economiche. Una crisi che ha tra le cause principali quella delle vendite deludenti delle auto elettriche. Una situazione prevedibile. Le auto elettriche, infatti, non solo costano di più a causa delle batterie, ma sono anche collocate principalmente nella fascia alta della produzione: sono auto di lusso, e anche grandi. I pochi modelli economici in commercio hanno un’autonomia reale (non quella dichiarata) insufficiente per viaggi extraurbani senza “ansia di ricarica”.
Raramente, però, viene considerato l’aspetto ambientale di questo insuccesso industriale, che non è meno rilevante.
Infatti il settore dei trasporti stradali genera poco più del 25 per cento delle emissioni dannose per l’ambiente, ma è quello che, al contrario degli altri, si comporta peggio: le emissioni crescono. E questo nonostante sia quello di gran lunga più tassato tra i settori inquinanti europei: le tasse sulla benzina sono più della metà del prezzo alla pompa.
Le cause sono ovvie: nessuno rinuncia all’automobile, essenziale per la maggior parte dei lavoratori europei per raggiungere il posto di lavoro e anche per il tempo libero. Lo spostamento di passeggeri e merci su trasporti pubblici urbani o su ferrovia è limitato, anche nelle prospettive future, a pochi punti percentuali, e questo nonostante gli amplissimi sussidi pubblici che sono destinati ai modi di trasporto meno inquinanti.
Anche il rapporto Draghi evidenzia che ridurre le emissioni in questo settore è molto difficile.
Il parziale fallimento dell’elettrificazione del trasporto automobilistico ha poi ricadute negative sulle economie di scala delle batterie, sugli investimenti in ricerca, e sull’”emigrazione” dell’elettrificazione anche al trasporto merci stradale. Un fallimento che ha enormi conseguenze negative per l’ambiente.
Che fare, dunque? L’Europa ha la possibilità di rimediare agli errori fatti, e questa possibilità è dovuta a solide ragioni tecnologiche, oltre che ambientali e sociali. Sarebbe davvero un progetto di politica industriale con priorità multiple.
Iniziamo dalla tecnologia: una macchina elettrica ha molte meno parti mobili di una con motore tradizionale. Le stime variano, ma sembra nettamente meno della metà. Questo è talmente vero che l’industria tedesca ha più volte paventato una drastica riduzione dell’occupazione, in caso si producessero prevalentemente macchine elettriche.
L’obiettivo deve dunque diventare quello di produrre macchine elettriche con autonomia adeguata a basso costo, con una drastica riduzione di accessori, e anche delle dimensioni. Cioè automobili con prezzi che innestino un consumo di massa, che dovrà essere accompagnato solo da una adeguata dotazione di stazioni di ricarica rapida.
È la stessa rivoluzione che ha originato la prima motorizzazione di massa, quella dovuta a Henry Ford e al “modello T”.
Ford, un reazionario non certo da meno di Musk (era amico di Hitler), aveva iniziato innovando con le prime catene di montaggio, ma con un prodotto di lusso, e ci aveva perso un sacco di soldi.
Allora decise di togliere ogni accessorio inutile, e contemporaneamente alzare i salari fino al punto che i suoi stessi operai potessero comprare la macchina. Era il “modello T”, in vendita solo con il colore nero. Cioè una semplificazione estrema.
Il resto è noto, il fordismo e la motorizzazione conquistarono il mondo. Per auto elettriche a basso costo, il supporto di soldi pubblici sarebbe comunque limitato, e condizionato alla produzione di macchine economiche. E vi sarebbero rilevanti ricadute ambientali positive, estendibili ai settori contigui grazie alle economie di scala (trasporto merci).
Ma gli aspetti sociali non sarebbero da meno: l’occupazione seguirà il consumo di massa, invece che gli accessori di auto di lusso, come è di fatto oggi. Infine, promuovere un consumo di massa di auto economiche sia nell’acquisto che nell’uso avrebbe un impatto positivo sui redditi medio-bassi e sulla loro possibilità di accedere al mercato del lavoro e a case meno costose.