25 novembre 2024

di Francesco Ramella

Meglio del passato ma peggio degli altri

Se analizziamo il problema della sicurezza stradale nel nostro Paese emergono due evidenze: una molto positiva, l’altra di segno opposto.

La buona notizia viene dal confronto tra il presente e il passato. Da ormai mezzo secolo, pur in presenza di un raddoppio degli spostamenti in auto, il numero di vittime di incidenti stradali è in calo. L’anno peggiore fu il 1972 quando i morti furono 11.078. Lo scorso anno si è registrato il valore più basso – fatta eccezione per i due anni della pandemia – dall’inizio della serie storica ISTAT nel 1954. Nei primi sei mesi di quest’anno il numero di vittime è cresciuto del 4% rispetto allo stesso periodo del 2023.

A partire dal 2001 la componente più significativa alla riduzione della mortalità è quella relativa alle auto: le vittime sono state ridotte a un terzo. Tra i pedoni il numero di persone che hanno perso la vita è stato più che dimezzato mentre la riduzione è più limitata (-40%) per le biciclette, probabilmente in ragione del maggior uso delle stesse.

La direzione di marcia è dunque quella giusta. Ma si può fare ancora meglio come si può evincere dal confronto tra l’Italia e gli altri Paesi europei. Il tasso di mortalità  – rapporto tra numero di vittime e percorrenze in auto – in Italia è molto più elevato rispetto ai Paesi più virtuosi: se noi avessimo lo stesso livello di rischio di Svezia, Irlanda o Regno Unito, sulle nostre strade, a parità di traffico, il numero di morti sarebbe ulteriormente dimezzato.

Uomo al volante, pericolo costante

Da cosa dipende questo divario? Sono tre i fattori che influenzano l’incidentalità stradale. I veicoli, le infrastrutture e i comportamenti delle persone. Il parco circolante in Italia è un po’ più vecchio e le infrastrutture probabilmente di standard inferiore rispetto a quelli dei Paesi che primeggiano nelle classifiche della sicurezza ma il fattore più rilevante nello spiegare la distanza che ci separa dai migliori è rappresentato da un minor rispetto delle regole di circolazione. Ciò risulta evidente anche dal confronto tra maschi e femmine in Italia, ossia a parità delle altre condizioni rilevanti. La statistica ISTAT relativa ai conducenti di autovetture ai quali è stata imputata la colpevolezza di un sinistro mortale indica che su un totale di  801 casi individuati ben 680 sono attribuibili agli uomini e 121 a donne con un rapporto di quasi 6 a 1 che solo in parte è spiegabile con le diverse percorrenze dei due gruppi. Al contrario di quanto dice il proverbio, le donne al volante sono in media molto più prudenti.

Quale sarà l’effetto delle modifiche al Codice della Strada approvato in via definitiva la scorsa settimana? L’inasprimento delle sanzioni relative a comportamenti rischiosi – guida in stato di alterazione per uso di sostanze stupefacenti e sotto l’influenza dell’alcool, uso del cellulare, eccesso di velocità – avrà ricadute positive per la sicurezza mentre sarà di segno opposto l’effetto dei vincoli più stringenti introdotti per l’utilizzo degli autovelox.

Bicicletta non fa rima con sicurezza

Il ministro Salvini è stato duramente criticato dalle associazioni ambientaliste e della mobilità sostenibile perché la riforma (appellata come “Codice della strage”) non prevede provvedimenti che favoriscano la cosiddetta mobilità sostenibile e, in particolare, l’uso della bici ostacolando quello dell’auto.

Ma, sotto il profilo della sicurezza complessiva della mobilità, è assai probabile che questa sia una scelta positiva. In Olanda, Paese che ha avuto maggior successo nella promozione delle due ruote,  mentre il numero di morti tra coloro che si spostano in auto si è ridotto tra il 1996 e il 2022 da  609 a 194, le vittime tra i ciclisti – di cui quattro su dieci sono causate dalle auto – risultano in aumento nell’ultimo decennio e il 2022 e 2023 hanno fatto registrare i valori più alti del periodo analizzato.

In rapporto alla popolazione è come se in Italia vi fossero state quasi mille vittime tra i ciclisti a fronte delle 212 effettivamente registrate pur in presenza di un tasso di mortalità molto più elevato e in ragione dell’uso molto più limitato della bicicletta. Si tende spesso a dimenticare che la bicicletta è soprattutto in competizione con i mezzi pubblici e solo secondariamente con l’auto. Quando una persona sceglie la bici invece dell’autobus il suo rischio di essere coinvolta in un incidente mortale diventa circa cento volte maggiore (pur rimanendo piccolo in termini assoluti); nel caso di passaggio dall’auto alla bici il rischio aumenta di circa otto volte e non è interamente compensato dal fatto che ci sia un veicolo in meno sulle strade. Peraltro, un maggior uso della bici ha effetti molto modesti e via via decrescenti sulla qualità dell’aria (il fattore determinante è l’evoluzione tecnologica delle auto) così come per il clima (la quota di percorrenze in auto che può essere evitata a scala nazionale è pari a pochi punti percentuali).

Giusto quindi essere più severi con gli automobilisti indisciplinati, sbagliato promuovere l’uso di mezzi più rischiosi.

Nel complesso il bicchiere di Salvini è mezzo pieno.