9 settembre 2024

di Francesco Ramella

«Dobbiamo fare pagar l’Area C anche durante i weekend».

Non abbiamo alternative, dice il sindaco di Milano Beppe Sala. I conti non tornano e bisogna mettere ordine nel bilancio. Due sono i colpevoli: quello diretto è il trasporto pubblico i cui costi sono in aumento a seguito dell’espansione della rete di metropolitana e quello indiretto il Governo che, al pari dei precedenti, non apre ulteriormente il cordone della borsa.

Per bus, tram e per le tre metro storiche (Rossa, Gialla e Verde) si spendono 740 milioni di euro all’anno. A questi si aggiungono 100 milioni per la M5 (Lilla) e altrettanti, dal 2025, andranno a coprire costi di gestione e rimborso dell’investimento per la linea Blu.

In totale, poco meno di un miliardo di cui solo 400 milioni vengono coperti con i ricavi della vendita di biglietti e abbonamenti. Il resto è a carico di terzi.

Secondo il sindaco di Milano (e, verosimilmente, di quelli di tutte le altre città) a saldare il conto dovrebbero essere indistintamente tutti i contribuenti italiani. L’argomento non sembra però molto convincente. Chi sono i beneficiari dei servizi che si effettuano nel capoluogo lombardo? In primo luogo, coloro che li utilizzano e, poi, indirettamente, chi vive nella città. Sembrerebbe più equo che a farsi carico della spesa fossero questi gruppi di persone. Le parole di Sala sembrano dar ragione a quanto sosteneva già due secoli fa l’economista francese Frédéric Bastiat: “Lo Stato è la grande finzione per mezzo della quale tutti si sforzano di vivere a spese di tutti gli altri.”

Un miglior trasporto pubblico vuol dire anche minor inquinamento e traffico più fluido. Per quanto riguarda la qualità dell’aria l’effetto è sempre meno rilevante nel tempo; il fattore decisivo è quello della innovazione tecnologica dei veicoli. Non è un caso se, nelle città statunitensi dove l’auto la fa da padrona la situazione odierna è, come da noi, decisamente migliorata rispetto al passato. Far pagare agli utenti un prezzo del biglietto che non copre tutti i costi di produzione ha invece un impatto significativo sul traffico: alcuni automobilisti incentivati dallo “sconto” lasciano la macchina a casa e prendono il bus o la metro. Si tratta però di una politica non ottimale. Quella più efficiente è rendere più oneroso – proprio come fa Area C – l’uso dell’auto nelle zone più dense. In questo modo nella scelta del mezzo di trasporto le persone terranno conto anche del fatto che scegliendo la macchina si rallentano tutti gli altri che si muovono sulla strada. Così facendo, il sussidio ai mezzi collettivi diventa meno necessario. E, come si può facilmente intuire, nei fine settimana, quando il traffico è più contenuto, il pedaggio ottimale è più basso di quello nei giorni feriali.

Come ricordato all’inizio, gli effetti trasportistici e ambientali non sembrano peraltro importare granché al sindaco di Milano. La finalità primaria dichiarata è quella di raccogliere più risorse. Dati alla mano, si scopre però che gli eventuali maggiori introiti sono poco più di una goccia nel mare delle risorse assorbite dai trasporti collettivi. Gli attuali proventi di Area C sono intorno ai 30 milioni all’anno. L’estensione della misura al week-end porterebbe nelle casse del Comune meno di 10 milioni ossia, il 10% dell’onere della sola M5.

Piuttosto che cercare nuove fonti di finanziamento l’Amministrazione dovrebbe porsi l’obiettivo di contenere i costi di produzione del servizio che ATM, monopolista pubblico, non ha incentivi forti a ridurre. Basterebbe copiare quanto fatto nel Regno Unito già quaranta anni fa quando tutte le aziende di trasporto pubblico vennero privatizzare e il settore venne liberalizzato. I risultati non si fecero attendere e oggi nelle maggiori aree metropolitane (ad eccezione di Londra dove vige un regime parzialmente diverso) far viaggiare un autobus per un chilometro costa poco più della metà che a Milano. Più dell’80% dei servizi vengono forniti senza contributi pubblici. L’ente locale svolge un ruolo sussidiario di integrazione dei collegamenti nelle zone e fasce orarie a minore utenza e di sostegno per gli utenti a reddito più basso.

Ma, si sa, tagliare la spesa è politicamente costoso perché, nell’interesse di tutti i contribuenti, si colpiscono gli interessi di un gruppo ristretto e molto agguerrito. Gli automobilisti mugugneranno un po’ ma alla fine, sconsolati, metteranno mano al portafogli e qualcun altro pagherà il resto del salato conto.