26 Ottobre 2023

di Marco Ponti

Il ministro dei trasporti Salvini è in carica da un anno circa, ed è anche vice-premier di Giorgia Meloni, insieme al ministro degli esteri Tajani. Questo fatto mette in luce un doppio problema: da un lato non risulta che Salvini abbia una qualche, seppur indiretta, competenza in un settore che è tecnicamente molto complicato e maneggia una gran quantità di soldi. Dall’altro lato, fare il vice-premier gli assorbe verosimilmente molto tempo. Va bene il “primato della politica”, ma ci vorrebbe almeno che avesse dei sottosegretari super-tecnici del settore, e questo non sembra.

Comunque, le sue presenze pubbliche su argomenti propri dei trasporti si sono concentrate principalmente su un tema: spendere rapidamente soldi per le infrastrutture, e soprattutto per il suo progetto del cuore, il ponte sullo stretto di Messina.

Da sempre, spender soldi (nostri) in infrastrutture crea molto consenso: fa felici i politici locali, appunto ministri dei trasporti, e i costruttori. Se poi una infrastruttura costa il triplo del previsto e ha benefici ridotti, son passati anni e nessuno se ne accorge. Infine, il settore non è molto aperto alla concorrenza internazionale, cioè i costruttori “felici” sono italiani.

In particolare, in Italia le gare di appalto vedono come assoluto protagonista Webuild, una società a partecipazione pubblica. Non è certo uno scenario di un mercato concorrenziale.

Puntare sulle infrastrutture per ragioni di consenso è un atteggiamento reso celebre da Berlusconi con lo slogan delle “Grandi Opere”, che Salvini sembra avere ereditato con entusiasmo (ma anche molti politici del PD e 5 stelle non son stati da meno).

Alcune opere servono davvero, altre probabilmente sono uno spreco di soldi, o altri problemi di trasporto e di mobilità sono più urgenti, ma questa sembra una questione che non turba nessun politico.

Purtroppo, neanche Draghi, che pure tutti si aspettavano che avrebbe elargito perle di razionalità economica, si è comportato meglio. Nel PNRR, con la sua benedizione, sul versante investimenti dominano opere costosissime e di molto dubbia razionalità.

Questo sembra frutto di fretta di far partire cantieri e di spender soldi, per cui si è semplicemente limitato ad avviare opere indicate da soggetti in grado di partire subito come le Ferrovie dello Stato, che ne hanno la parte del leone.

Ma più probabilmente perché aveva una maggioranza da accontentare, e questa delle grandi opere pubbliche è un “regalo politico” molto gradito, per le ragioni di consenso viste sopra.

Comunque, Salvini quando ha visto tutti quei soldi per i trasporti è diventato un draghiano di ferro, e non si sogna di avere dubbi.

La ricerca del consenso ha certamente ispirato a Salvini anche la nota e pluriennale ostilità per la concorrenza internazionale e le gare in particolare.

Non è certo il solo, si pensi ai balneari; per i trasporti c’è il codice degli appalti, che il neoministro ha cercato in ogni modo di rendere più favorevole alle imprese, nonostante la concorrenza nel settore delle opere pubbliche sia già limitata in tutto il mondo anche per regioni tecniche, oltre a quelle che abbiamo già citate.

Ma soprattutto ci sono i trasporti pubblici locali, che da vent’anni la Commissione Europea ci esorta a mettere in gara, per ridurre i costi e/o abbassare le tariffe, e/o migliorare i servizi.

E anche qui la riluttanza di Salvini verso questa blanda forma di concorrenza non è isolata, ha solidi sostenitori a sinistra, sempre per ragioni di consenso.

Gli enti locali con pochissime eccezioni non vogliono le gare, e i sindacati temono la perdita di posti di lavoro, ma a torto.

Infatti, le gare periodiche non significano affatto né liberalizzare né privatizzare il settore. Vince chi chiede meno sussidi per offrire servizi migliori ai cittadini, e chi vince sa che dopo un certo numero di anni dovrà affrontare la gara successiva, per cui deve comportarsi bene, altrimenti la perde.

I dipendenti sono ampiamente tutelati da clausole che ne salvaguardano posti e stipendi, cosa assente nel settore privato.

L’avvio di gare serie richiederebbe dunque un vivace sostegno politico, di cui non c’è traccia.

E veniamo al ponte di Messina, grande opera “a elevata visibilità mediatica” (e anche per questo fonte di consenso). Il rapporto costi-benefici per la collettività non è probabilmente tra i peggiori (anche se i costi rimangono superiori ai benefici economici) :  il ponte serve sicuramente parecchio traffico, al contrario di altre ancora più costose (si veda in proposito la ricerca fatta da una associazione indipendente, BRT onlus).

Comunque ci sono certo priorità maggiori, come far funzionare meglio le infrastrutture esistenti di Calabria e Sicilia.

Ma vi sono anche elevate incertezze tecniche (la zona è sismica, ci sono forti venti, e le fondazioni di pilastri di trecento metri creano seri problemi, come li creano la scelta di farci passare la ferrovia, che avrà una piccola quota del traffico totale).

Non solo, ci sono anche rilevanti incertezze su chi paga: se dovesse essere un’opera a pedaggio, anche solo per coprire una parte dei costi, il traffico diminuirebbe parecchio.

Finora il governo ha stanziato solo briciole, giusto per pagare uno stuolo di super-consulenti.

Quindi dovrebbe pagar tutto lo Stato, cioè i contribuenti.

Purtroppo, è già pronto un fenomenale trucco contabile per far finta che lo Stato non lo paghi: si chiama “canone di disponibilità”. Consiste nel far pagare a rate l’opera dalle Ferrovie dello Stato (FSI) e dall’ANAS, la società pubblica che si occupa di strade (che solo in teoria dovrebbero ottenere vantaggi dall’avere “a disposizione” l’opera).

Annualmente poi queste due società pubbliche vengono sussidiate per far tornare i loro conti, e nessuno si accorge dell’operazione.

Ma concludiamo con una qualche nota di ottimismo: sembra che ITA, (la compagnia pubblica che ha sostituito Alitalia), venga davvero privatizzata vendendola alla “straniera” Lufthansa, con gran beneficio delle casse pubbliche che hanno già speso 10 miliardi per i fallimenti in serie di Alitalia, e vantaggi per la concorrenza, cioè gli utenti.

Qui il ministro Salvini sembra aver scelto di non intervenire, e data la sua vocazione patriottica e la diffidenza per la concorrenza, si tratta certo di un’ottima scelta.

Sembrano esserci anche spiragli per più concorrenza nelle ferrovie (che ha dato grandi vantaggi ai viaggiatori nell’Alta Velocità), e anche qui il ministro sembra non essere intervenuto. Ma qui bisogna ancora vedere qualcosa di concreto per pronunciarsi.