25 agosto 2022
di Marco Ponti
Innanzitutto, perché da subito han dichiarato di non esserlo (“Né di destra, né di sinistra”). Dichiarazione pesante, per un movimento politico. Forse strumentale al consenso, ma forse no. Forse significa “siamo di centro”, ma forse “siamo opportunisti”. Altre interpretazioni sono difficili.
Il principio dell’”uno vale uno” assume come obiettivo una democrazia diretta, via web, che non risulta affatto essere di sinistra, che ha sempre proposto meccanismi di mediazione. Il rischio delle democrazie dirette è il bonapartismo, cioè l’avvento di un super-mediatore carismatico. L’atteggiamento antiparlamentere degli inizi, sia con la “scatola di tonno” (ricorda “l’aula sorda e grigia” di mussoliniana memoria) che con la scelta dei due soli mandati (che nega l’importanza della competenza politica), va in questa direzione.
Poi, governare con la lega di Salvini è stata una scelta difficile da capire per chiunque si considerasse di sinistra. Anche se reddito di cittadinanza per certi versi lo era, storicamente la sinistra è più attenta alla tutela del lavoro.
In seguito, c’è stata la giravolta sulle grandi opere berlusconiane: da oppositori a massimi sostenitori, escluso per la Tav (oggi economicamente trascurabile rispetto al resto). Opere tra l’altro ambientalmente molto discutibili.
Inizialmente poi c’era anche un solido sovranismo (dubbi su euro e Unione Europea). Esiste certo anche un certo sovranismo di sinistra, ma è massicciamente più presente a destra (la Le Pen e Orban non scherzano…).
E i riscontri storici più convincenti sono stati prima la diaspora di un terzo dei parlamentari, pochi tra PD e Articolo1, mentre una buona parte si è ricollocata a destra, e poi l’endorsment entusiastico di Grillo a Draghi (e Cingolani). Che Draghi non fosse molto di sinistra, sembra davvero evidente da subito (tra i banchieri non è una specie diffusa).
Il superbonus è risultato un buon strumento di rilancio anticiclico a breve (al contrario delle citate grandi opere), ma è un sussidio che è andato anche ai ricchi.
Conte e quelli che gli sono rimasti, in parlamento e probabilmente nel paese, si sono poi connotati davvero a sinistra del PD. L’uscita di Di Maio gli ha semplificato la scelta. Meno comprensibile perché abbia accettato di assumersi la responsabilità di un movimento in rotta di collisione con Draghi, ma con un garante-capo storico che invece, fino a pochi giorni prima della crisi, aveva confermato di appoggiare il presidente del consiglio.
Certo i nove punti di Conte presentati a Draghi e il programma elettorale connotano adesso chiaramente la direzione presa. Due punti possono essere oggetto di perplessità: il rilancio del superbonus edilizio senza voler correggere i favori ai più abbienti, e la richiesta di uno “scostamento di bilancio” non quantificato.
È così di sinistra non preoccuparsi dei conti pubblici, dopo avere ottenuto dall’Europa il PNRR (a Conte il merito, si ricorda), un esteso piano di trasferimenti, ma con la condizione implicita di essere più attenti in futuro, e non doversi ripresentare a Bruxelles con richieste ulteriori? I dubbi sembrano legittimi, anche perché questo disinteresse alle coperture è in comune ai programmi elettorali delle destre.
Infine, la traiettoria che si è sopra descritta è stata poco trasparente, proprio a motivo delle divisioni ideologiche e politiche del Movimento, e questo è costato carissimo in termini di consenso. Si pensi a titolo di esempio alla citata svolta sulle Grandi Opere, mai discussa né comunicata pubblicamente (sembra nemmeno agli iscritti).