19 agosto 2022

di Marco Ponti

Questo è emerso in modo abbastanza clamoroso nelle scelte del PNRR, ed è stato pienamente confermato nell’addendum “infrastrutture” al DEF di quest’anno. Riportiamo qui le dichiarazioni del ministro Giovannini (ora provvisorio) che lo accompagnano:

“Il cambiamento profondo dell’approccio adottato dal MIMS nel processo di programmazione, selezione, valutazione e monitoraggio delle opere infrastrutturali, che pone lo sviluppo economico, la riduzione delle disuguaglianze, dell’impatto ambientale e delle emissioni alla base delle scelte d’investimento, si sta affermando come una buona pratica anche a livello internazionale, così da poter beneficiare di consistenti investimenti pubblici e privati orientati a infrastrutture e sistemi di mobilità sostenibili”.

Dal testo di accompagnamento del PNRR e dalle 240 pagine dell’addendum, piene di numeri e tabelle, si evince, come dimostreremo, che la sostanza non è diversa dalla consueta retorica delle “grandi opere” come strumento principe di consenso, geniale intuizione del primo governo Berlusconi, retorica poi seguita puntualmente da tutti i governi seguenti.

Ma vediamo gli obiettivi dichiarati: sono crescita, ambiente, riduzione delle diseguaglianze, con un cenno ad investimenti privati.

Per la crescita, le analisi complessive presentate a supporto delle infrastrutture del PNRR parlano di crescita del PIL e di impatti occupazionali aggregati, ma nelle analisi specifiche dei progetti si è rinunciato a questo argomento, perché è evidente che dati i tempi di realizzazione di queste opere, il loro ruolo anticiclico, comunque modesto, è insostenibile. Allora lo strumento di valutazione economica non può essere che quello internazionalmente accettato: l’analisi costi-benefici sociali (ACB, che si ricorda, mantiene comunque connotazioni sociali, al contrario delle analisi strettamente finanziarie).

Ma queste analisi, così importanti, sono state affidate al destinatario stesso della maggioranza dei fondi, le Ferrovie dello Stato, che sembrano trovarsi, trattandosi di una SpA, in un imbarazzante conflitto di interessi. Sarebbe stato non molto diverso che chiederle ai costruttori. Infatti, applicano una metodologia indifendibile, di uno straordinario ottimismo, che farebbe probabilmente risultare fattibile anche opere semideserte (e molte di queste lo saranno), e che addirittura genera vistosi paradossi.

La prassi internazionale vorrebbe invece molta prudenza, in quanto i costi sono vicini e certi, i benefici lontani e incerti (anche quelli ambientali). Molti progetti poi risultano di dubbia utilità anche senza calcoli di sorta: si pensi che il maggiore, tra Salerno e Reggio Calabria, prevede il raddoppio ad Alta Velocità di una linea esistente non satura e recentemente velocizzata, con un risparmio di 40 minuti e costi previsti “variabili tra i 22 e i 29 miliardi”, tutti a carico delle casse pubbliche. Ma gli aspetti finanziari delle scelte sembrano non aver trovato alcuno spazio, così come le prospettive demografiche in calo.

Altri progetti appaiono avere prospettive di domanda debolissime.  

L’inflazione poi è certo che gonfierà i costi, e, anche se il ministero garantisce che anche gli stanziamenti cresceranno, è certo che i benefici non cresceranno in proporzione; quindi, anche solo per questo i risultati andrebbero rivisti al ribasso.

Quindi gli effetti sulla crescita economica sono come minimo non adeguatamente dimostrati, ma molto più probabilmente inesistenti, anche perché il settore delle opere civili presenta scarse prospettive di innovazione tecnologica.

Anche i benefici ambientali delle opere ferroviarie appaiono molto dubbi, per una banale considerazione: come si è detto, si tratta di opere con effetti a lungo termine, e, o si dà per fallimentare la politica europea di abbattimento delle emissioni del trasporto stradale (abbattimento già in corso), o i benefici ambientali dello spostamento di traffico sulla ferrovia saranno modesti o inesistenti. Inoltre, le analisi di FSI, forse per la fretta di dare responsi positivi sempre e ovunque, si dimenticano addirittura di calcolare le emissioni che si generano in sede di cantiere, rilevantissime nei frequenti casi di opere con molte gallerie. Infine, la Commissione Europea ha definito dei valori economici per i “costi di abbattimento” delle emissioni ambientali, al di sopra dei quali sarebbe meglio abbattere in altri settori, o in altri progetti. Ora le analisi di FSI non effettuano nemmeno tale verifica. La onlus BRT ne ha effettuate alcune, e tali costi tendono a superare di gran lunga questi standard europei.

La questione delle diseguaglianze presente connotazioni molto ideologiche: assumiamo che si tratti di diseguaglianze sociali, che sembrano le uniche rilevanti. Infatti, usare risorse pubbliche a favore di categorie a medio-alto reddito in una regione disagiata non sembrerebbe davvero una priorità.

Chi effettua viaggi frequenti di lunga distanza, affrontando cioè costi e tempi di viaggio complessivamente rilevanti, non appartiene certo alle categorie a più basso reddito nè a quelle prive di una occupazione stabile.Dunque, i grandi e costosissimi progetti ferroviari del PNRR determinano benefici soprattutto alle categorie di reddito medio-alto che viaggiano molto, e in misura minore al turismo. Entrambe queste categorie potrebbero servirsi del trasporto aereo senza costi finanziari per la collettività (per gli aspetti ambientali, anche per il trasporto aereo si prevede nel lungo periodo una forte riduzione delle emissioni).

Ma se veniamo invece alle diseguaglianze infrastrutturali “geografiche”, si andrebbe nell’assurdo: oltre a ferrovie veloci per tutti, anche autostrade a quattro corsie che consentano velocità elevate? Anche aeroporti con servizi aerei frequenti e a basso costo, ovviamente presenti oggi solo nei centri maggiori?

In realtà, non ha senso ignorare la domanda: i servizi di trasporto, e specie quelli ferroviari hanno rilevanti “economie di scala”, cioè costa moltissimo fornirli dove la domanda non li giustifica, chiunque paghi in conto: gli utenti nel caso di autostrade e aeroporti, lo Stato in caso di ferrovie.

Infine, entrambi i documenti accennano a “investimenti privati”, ma concentrarsi sulle ferrovie li esclude: per questi servizi deve pagar tutto lo Stato, altrimenti la domanda tende a scomparire (e questo dovrebbe aumentare i dubbi).

È poi noto poi che il settore delle grandi opere civili presenta già ovunque un modesto livello di concorrenza, ma si parla di “accelerare gli appalti”, affermazione non certo di buon auspicio, data la capacità di pressione politica degli interessi costituiti, e anche di certe organizzazioni poco simpatiche ma molto presenti nel settore.

Insomma, non manca nulla per confermare che si tratta di una visione politica assai tradizionale, se vogliamo usare un eufemismo, altrimenti di una operazione essenzialmente clientelare. E in un prossimo articolo vedremo più da vicino le analisi portate da FSI a supporto di alcuni mega-progetti, e gli eroici sforzi di fantasia che si sono dovuti fare per tentare di giustificarli. Ma accenneremo anche alle alternative reali disponibili per migliorare la mobilità nel Mezzogiorno.