12 settembre 2022
di Francesco Ramella
“Un successo clamoroso: traffico e smog diminuiti drasticamente”: così titolava a metà luglio Greenme, il “magazine #green più letto d’Italia” un articolo sull’esperimento tedesco che ha previsto per i tre mesi estivi la possibilità di utilizzo illimitato di treni locali e mezzi urbani per soli 9 euro al mese.
Infatti, si spiegava nel sommario: “se riduci il costo del biglietto dei mezzi pubblici, riduci anche il traffico su gomma. Non ci vuole Einstein per capire che una cosa tira l’altra, nel più classico dei rapporti di causa/effetto.” Toni entusiasti anche su Wired che a fine agosto titolava: “L’abbonamento ai mezzi pubblici a 9 euro della Germania ha funzionato alla grande” e pareri positivi espressi da quasi tutti coloro che si sono occupati della vicenda.
Ora che la sperimentazione si è conclusa è possibile farne un primo sommario bilancio. Due sono gli elementi che emergono: un forte incremento del numero di persone a bordo dei mezzi pubblici ma nessuna riduzione significativa del trasporto stradale che, stando ai dati dell’istituto nazionale di statistica relativi agli spostamenti su distanza superiore ai trenta chilometri, si è attestato sullo stesso livello del 2019, prima della pandemia. Nelle città gli scostamenti sono di pochi punti percentuali.
Non era davvero necessario essere Einstein per prevederlo. Era sufficiente un po’ di buon senso e qualche nozione di base sull’assetto dei trasporti in Germania (e negli altri Paesi europei). Partiamo da qui. Per ogni dieci chilometri percorsi in treno i tedeschi (così come tutti gli altri europei) ne effettuano all’incirca cento in auto. Se la frequentazione dei treni aumenta del 50% e se tutti i nuovi viaggi sono effettuati da persone che prima sceglievano la gomma, le percorrenze su strada si riducono del 5% (e intorno al 10% se si considerano oltre ai treni anche i mezzi pubblici). Ma non tutti gli spostamenti aggiuntivi che si effettuano a seguito di una riduzione del prezzo di biglietti e abbonamenti o di un miglioramento dei servizi sono di ex automobilisti. Molti in Germania hanno approfittato del super saldo per fare uno o più viaggi che in assenza della misura non avrebbero compiuto.
Il limitato effetto di una misura quale quella adottata ora in Germania e che ha svariati precedenti soprattutto a livello locale poteva essere immaginato anche semplicemente riflettendo su questo fatto: sono davvero poche le persone che non scelgono i mezzi collettivi invece dell’auto perché costano troppo. Al contrario, l’auto viene preferita alle altre opzioni di trasporto nonostante sia molto più dispendiosa (anche perché, a differenza dei trasporti collettivi che sono fortemente sussidiati, è soggetta a un elevato prelievo fiscale) in quanto consente di spostarsi più velocemente e più comodamente sulla maggior parte dei percorsi. Possiamo immaginare treni e trasporti collettivi come l’equivalente della rete fissa nel campo delle telecomunicazioni mentre l’auto è l’analoga di quella mobile. Non è regalando i servizi della prima che si può pensare di ottenere una qualche significativa riduzione dell’uso dei cellulari che, al pari della macchina, consentono una capillare copertura di tutto il territorio.
Poche auto in meno significa anche una limitata riduzione delle emissioni di CO2 ossia del principale obiettivo della misura adottata dall’esecutivo tedesco insieme a quello del contenimento dell’inflazione.
Sono state finora elaborate due stime della quantità di anidride carbonica risparmiata. La prima, prodotta dall’associazione delle aziende di trasporto collettivo, ripresa da quasi tutti i mezzi di informazione ma criticata come poco attendibile da più di un esperto di trasporti, indica una flessione pari a 1,8 milioni di tonnellate. La seconda, del RWI – Leibniz Institute for Economic Research, propone una forchetta di valori compresa tra le 205mila e le 672mila tonnellate.
Questi dati, da soli, non ci consentono di esprimere un giudizio sulla misura adottata. Per farlo occorre, prima di tutto, confrontare il beneficio ambientale con il costo sostenuto che è pari a circa 2,5 miliardi (i minori incassi delle aziende di trasporto che dovranno essere compensate con maggiori fondi pubblici) ai quali dovrebbero essere sommate le minori entrate fiscali a seguito della riduzione del consumo di carburanti.
Si ottiene così, nella ipotesi più positiva, un onere per tonnellata di CO2 evitata pari a 1.400 €; in quella più pessimistica il conto sale a oltre 12.000 €. Sono valori largamente al di sopra rispetto alle stime prevalenti del danno arrecato. Sembra difficile sostenere che sia un successo una politica che comporta costi superiori ai benefici. Non solo, anche volendo prescindere dal valore economico di una tonnellata di CO2 in meno nell’atmosfera, non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che converrebbe adottare le politiche che hanno costi più bassi: non farlo equivale a spendere di più per ottenere lo stesso risultato oppure, a parità di spesa, conseguirne uno più limitato. Oggi, le politiche più efficienti di abbattimento hanno un costo inferiore ai 100 € per tonnellata. Si poteva dunque ottenere la stessa riduzione di CO2 spendendo da 25 a 180 milioni invece dei 2,5 miliardi.
Occorre poi valutare gli altri impatti: i benefici per chi ha sfruttato i servizi quasi regalati e quelli della minor congestione della rete stradale (oltre che il maggior affollamento di treni e autobus). I primi sono una quota parte della spesa, la seconda per essere valutata richiede un’analisi puntuale che non è ancora disponibile. Sappiamo che nelle aree urbane un elevato sussidio dei trasporti collettivi può essere efficiente.
Sappiamo però anche che la riduzione della congestione sarebbe temporanea. Una parte di coloro che oggi non usano l’auto a causa del traffico intenso domani lo farebbero e si tornerebbe vicini alla situazione di partenza. Una efficiente e duratura politica per ridurre il traffico in eccesso è quella di far pagare il pedaggio nelle aree più dense; tale provvedimento non graverebbe sulla finanza pubblica e, anzi, consentirebbe di ridurre un po’ il prelievo fiscale su chi usa l’auto nelle zone più periferiche dove i mezzi pubblici non sono una realistica alternativa.