27 marzo 2023
di Francesco Ramella
Non sarebbe altamente desiderabile che tutti avessimo un lavoro sotto casa e potessimo trovare nel raggio di poche centinaia di metri scuole, negozi, ristoranti, ospedali e tutto ciò di cui abbiamo necessità?
Evitare lunghi spostamenti vorrebbe dire risparmiare tempo e soldi e inquinare di meno. È questo l’argomento su cui si fonda l’idea della “città a 15 minuti” partorita da Carlos Moreno, direttore scientifico della Pantheon Sorbonne University-IAE Paris, e che comincia a trovare applicazione in svariate realtà urbane.
La mobilità, soprattutto quella in auto, viene spesso considerata come un fenomeno esclusivamente negativo e, in quanto tale, da limitare il più possibile se non proprio da azzerare raggiungendo così l’obiettivo della città senz’auto. Viene così del tutto trascurato il fatto che il potersi muovere velocemente su distanze maggiori è, prima di tutto, una opportunità. Chiunque effettui uno spostamento senza esservi costretto lo fa perché il beneficio atteso è superiore al costo da sopportare. In un articolo scientifico pubblicato trenta anni fa, il fisico Cesare Marchetti evidenziò come nell’arco di svariati millenni il tempo che le persone sono disposte a destinare ai movimenti è rimasto pressoché invariato, intorno a un’ora al giorno. L’avvento dei moderni mezzi di trasporto ha fatto sì che a parità di tempo si possano coprire distanze molto più ampie con conseguente stravolgimento della forma urbana: se all’inizio dell‘800 Berlino aveva ancora la dimensione di un villaggio dell’antica Grecia, approssimativamente un cerchio di 2,5 km di raggio, oggi l’area coperta è quaranta volte superiore.
Grazie a questa evoluzione il mercato del lavoro è divenuto più ampio e, di conseguenza, molto maggiori le possibilità di incontro tra domanda e offerta di occupazione. E così per i consumi: sono cresciute le opportunità di scelta e si è fatta più forte la pressione concorrenziale. Il piccolo negozio ha dovuto confrontarsi con il supermercato con grande vantaggio per i consumatori. Potersi spostare su distanze maggiori significa anche erodere la rendita immobiliare. In sintesi: una città che cresce spazialmente è un fattore rilevante di sviluppo economico.
Se un’attività di mercato non è a portata di mano o, per meglio dire, di passeggiata, è perché non è economicamente sostenibile: i costi superano la disponibilità a pagare dei consumatori per poterne usufruire. Fa eccezione il caso in cui vi sia un vincolo posto dal soggetto pubblico: in quest’ultimo caso è sufficiente rimuoverlo. Per scuole e servizi sanitari è certamente possibile immaginare un’offerta più decentrata di quella attuale; essa implicherebbe però maggiori costi a causa della perdita di economie di scala nonché il venire meno di altre attività che occupano gli stessi spazi. Si tratta, come sempre, di valutare costi e benefici.
E se la “carota” dell’offerta non è gratuita ancor più problematica alla luce di quanto sopra scritto è il “bastone” del frapporre ostacoli alla mobilità individuale accrescendone così artificialmente il costo. Si tratta di una politica che ha effetti negativi su coloro che si spostano e che nel tempo diviene sempre meno efficace per ridurre le esternalità negative causate dalla mobilità. Se analizziamo quanto accaduto negli scorsi decenni, scopriamo che per due delle maggiori problematiche, l’inquinamento dell’aria e la incidentalità, sono stati compiuti rilevantissimi progressi pur in presenza di una forte crescita delle percorrenze. In entrambi i casi è stato decisivo il ruolo della innovazione tecnologica dei veicoli: un’auto commercializzata oggi inquina l’aria meno di un decimo rispetto a una di trent’anni fa ed è molto più sicura. Nelle maggiori aree urbane italiane (Torino, Milano, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Palermo) il numero di vittime di incidenti stradali è diminuito negli ultimi venti anni del 60% nonostante che il mancato rispetto delle regole del codice della strada sia ancora assai diffuso. Agendo su quest’ultimo aspetto si possono ottenere risultati ancora migliori come dimostra l’esempio di altre città europee, tra le quali Oslo che è riuscita a quasi azzerare la mortalità.
Il problema del futuro è quello delle emissioni di CO2 causa del cambiamento climatico. È possibile ottenere la decarbonizzazione del trasporto su strada senza limitare la domanda di mobilità? Ogni anno lo Stato italiano introita dal settore intorno ai 75 miliardi; al netto della spesa corrente e per investimenti, il flusso di risorse per l’erario si aggira intorno ai 50 miliardi equivalenti a più di 500€ per tonnellata di CO2 emessa.
50 miliardi equivalgono a un contributo di 25.000€ per l’acquisto di due milioni di auto.
Secondo le stime della Agenzia internazionale per l’energia il costo per la cattura di una tonnellata di CO2 in atmosfera (oggi il processo più costoso per ridurre le emissioni) è compreso in un intervallo tra i 130 e i 350$ per tonnellata.
Le risorse, dunque, ci sono e sarebbero interamente a carico di chi si muove senza gravare su terzi.
Si tratta di decidere se quello della decarbonizzazione sia un impiego delle risorse che derivano dalla tassazione del trasporto stradale migliore di tutti gli altri e calibrare di conseguenza tempi e modi di attuazione del processo.
Sappiamo però fin da ora che è possibile buttare l’acqua sporca delle emissioni senza sacrificare il bambino della mobilità.