16 gennaio 2024
di Francesco Ramella
Reddito pro-capite e popolazione sono le due variabili più importanti nel determinare il livello complessivo di mobilità di un Paese. Ne abbiamo un chiaro riscontro nel 20° Rapporto sulla mobilità degli italiani di ISFORT.
A partire dal 2000, la domanda complessiva di trasporto in Italia risulta in declino. Dopo il crollo a causa del Covid nel 2020 e, in misura più contenuta nel 2021, il numero di spostamenti nel 2022 si è attestato poco sotto i 100 milioni di unità a fronte di 126,2 milioni a inizio secolo. I chilometri percorsi sono diminuiti da 1,2 a 1,07 miliardi.
Al contrario di quanto ipotizzato da molti, la pandemia, lungi dal segnare un punto di svolta in termini di ripartizione modale a favore dei trasporti collettivi e degli spostamenti a piedi e in bici, ha determinato un rafforzamento della quota di domanda soddisfatta dall’auto che nel 2022 è risultata pari al 70% del numero di viaggi e all’80% delle distanze percorse.
L’atteso calo demografico comporterà nei prossimi anni un’ulteriore contrazione del numero di spostamenti. A scala nazionale ISFORT stima una riduzione del 3% al 2030; nelle regioni meridionali è prevista una diminuzione più che doppia rispetto alla media nazionale.
La tendenza sarà più accentuata per gli spostamenti degli studenti (-6%) e in particolare per quelli in fascia di età compresa tra i 14 e i 19 anni: la flessione attesa per quest’ultimo segmento di domanda è pari all’8,5%.
Non sembra che tali dati siano tenuti nella giusta considerazione da parte di chi ha la responsabilità delle decisioni di spesa pubblica per i trasporti. È infatti largamente diffusa la convinzione che servano più infrastrutture, soprattutto più ferrovie e maggiore offerta di servizi di trasporto collettivo.
Nuove opere e migliori servizi generano un limitato incremento della mobilità ma questo fattore non è di solito sufficiente a giustificare un potenziamento dell’offerta. Al riguardo, un caso di attualità è quello del ponte sullo Stretto di Messina la cui realizzazione sarebbe conveniente per la collettività solo in presenza di flussi di traffico in crescita nei prossimi decenni. La realtà è opposta: oggi il numero di veicoli traghettati tra Sicilia e Calabria è pari a 2,5 milioni contro i 4 di trenta anni fa e un’inversione di tendenza non è immaginabile nel medio periodo.
Analogamente, nel settore del trasporto pubblico la maggior parte dei servizi è già oggi utilizzata molto al di sotto della capacità disponibile: nel caso degli autobus, ad esempio, in media viene occupato solo un posto ogni quattro resi disponibili (uno ogni sei per i collegamenti extraurbani).
In questo scenario le priorità dovrebbero essere quella di rendere più efficienti ed efficaci i servizi e di garantire un’adeguata manutenzione delle infrastrutture esistenti. Spendere per potenziare un’offerta che risulterà sovradimensionata rispetto alle reali esigenze è una ricetta che rischia di accelerare il nostro declino a causa del maggior prelievo fiscale e/o debito generato.