18 luglio 2022
di Giorgio Ragazzi
Nell’ultimo Def (Documento di Economia e Finanza) il ministero delle Infrastrutture indica progetti prioritari per 147 miliardi per le ferrovie, 97 per strade, porti e aeroporti, 12 per le infrastrutture idriche. Stupisce l’enormità dei fondi che si intende investire nelle ferrovie, un settore che serve appena il 6% circa di tutto il traffico passeggeri (passeggeri/km), con una quota che non è cresciuta nemmeno dopo decenni di elevati investimenti nel settore.
Gli investimenti fissi delle Fs sono tutti finanziati dallo Stato, a fondo perduto visto che non verranno mai né remunerati né ammortizzati dalla Rfi – la società del gruppo che gestisce la rete. Lo Stato deve poi sussidiare anche la gestione corrente. Per giustificare questo salasso per la finanza pubblica si ricorre all’Acb (Analisi costi benefici) cercando di quantificare “flussi in entrata” non monetari quali il risparmio di tempo per i viaggiatori o i benefici ambientali dello spostamento del traffico da strada a ferrovia (spostamento peraltro sempre auspicato ma quasi mai realizzato).
Alcuni dei maggioriinvestimenti delle Fs vengono decisi “a prescindere”, prima ancora che vengano completate le analisi di redditività sociale; sono poi le stesse Fs ad essere incaricate di svolgere le Acb per valutare la convenienza dei loro investimenti, in evidente conflitto di interessi. Spesso, come ad esempio nel caso della nuova linea AV/AC Salerno-Reggio, l’Acb presentata dalle Fs è oggetto di dure critiche da parte degli studiosi del settore, ai quali non si è stata data risposta. Ad esempio, il prof. Francesco Ramella della fondazione BRT valuta che il progetto per il tratto Battipaglia-Praia comporti una perdita di benessere sociale di 1,9 miliardi, contro un saldo positivo di 0,7 miliardi stimato dalle Fs. E il saldo sarebbe assai peggiore se le Fs, nell’Acb, non avessero ridotto il costo dell’investimento da 7,3 a 4,8 miliardi, supponendo che il lavoro abbia un costo sociale molto inferiore a quello finanziario a causa della disoccupazione, taglio che pare ingiustificato perché non c’è attualmente disoccupazione nel settore.
Rischiamo quindi di investire una grande quantità di risorse pubbliche in progetti senza un corrispondente beneficio sociale. Occorre poi considerare che da quando furono fatte quelle analisi sono cambiate due cose: la Ue ha deciso di vietare la vendita di auto a motori termici oltre il 2035 e il quadro economico è assai peggiorato anche per effetto della guerra in Ucraina. La progressiva diffusione delle auto elettriche azzera o riduce di molto il beneficio ambientale dell’eventuale cambiamento modale da strada a ferrovia. Ci vorrà del tempo, ma così è anche per gli investimenti nelle ferrovie, che richiedono parecchi anni durante i quali addirittura peggiorano l’ambiente per le emissioni di cantiere. Quindi, investire nelle ferrovie per favorire la transizione ecologica, come si proclama anche nel Pnrr, appare del tutto ingiustificato. Quanto al risparmio di tempo dei viaggiatori, anche a prescindere dal fatto che le previsioni di traffico sono sempre ottimistiche, non è certo da questo che verrà un contributo apprezzabile al Pil.
Investire in nuove linee scarsamente utilizzate, per far risparmiare un po’ di tempo ad una ristretta categoria di viaggiatori, è un lusso che possiamo permetterci? Possiamo permetterci investimenti che si riflettono interamente in aumenti del debito pubblico senza contribuire sensibilmente alla crescita del Pil?
Le lobby che spingono per investire nelle ferrovie sono fortissime, dalle imprese di costruzioni agli interessi locali, ai politici che le giustificano perché “strategiche” (magica parola!) ai meridionalisti di bandiera per i quali “anche il Sud ha diritto all’alta velocità”, frase ripresa dallo stesso ministro Giovannini.
Certo l’apertura di qualunque cantiere nell’immediato crea lavoro e aumenta il Pil, ma ciò che conta è di quanto aumenti poi la potenzialità di crescita dell’economia una volta chiuso il cantiere ed esaurito l’effetto della spesa iniziale. Per questo aspetto le ferrovie sono tra gli investimenti meno produttivi.
Molti ritengono che il sussidio “110%” per la coibentazione di edifici abbia comportato per lo Stato un costo enorme non giustificato dai benefici sociali conseguenti, oltre a spreco di risorse e grandi ruberie. Gli investimenti in ferrovie rischiano di essere un nuovo capitolo nello sperpero di risorse pubbliche, deciso in presenza di una congiuntura economica che dovrebbe suggerire politiche del tutto opposte. A differenza del sussidio “110%” non sono nemmeno uno strumento efficace per interventi anticiclici visti i tempi lunghi della loro realizzazione.