7 febbraio 2022
di Francesco Ramella
Vietare il trasporto aereo sulle brevi distanze per contrastare il cambiamento climatico? Al Ministero della mobilità e dei trasporti sostenibili ci stanno pensando. Il modello di riferimento è quello francese che prevede la soppressione dei voli là dove sia disponibile un servizio ferroviario che garantisca un tempo di percorrenza inferiore a 2 ore e 30.
L’ipotesi allo studio può essere valutata sotto quattro profili: l’efficacia specifica, l’efficacia in termini complessivi, l’efficienza e l’impatto sulla finanza pubblica.
Partiamo dalla prima angolazione. Il trasporto ferroviario è oggi di gran lunga meno impattante rispetto a quello aereo: la quantità di CO2 emessa per chilometro percorso sui binari da un passeggero è pari a meno di un decimo di quella in volo. Anche in considerazione del fatto che una parte degli spostamenti non verrebbe più effettuata, il divieto comporterebbe senza dubbio per il segmento di traffico interessato un radicale contenimento delle emissioni a meno che sia prevista la realizzazione di una nuova infrastruttura che determinerebbe essa stessa l’emissione di un quantitativo non trascurabile di anidride carbonica. In questo caso il risultato diventa più incerto e possono essere necessari, a seconda del tipo di infrastruttura (con più o meno tratti in galleria) e del numero di passeggeri che cambiano mezzo di trasporto, uno o più decenni perché si raggiunga il punto di pareggio. In termini di efficacia specifica il giudizio è quindi una promozione con riserva.
Passiamo ora a una prospettiva complessiva. Perché possano contribuire in misura rilevante alla riduzione delle emissioni, le politiche adottate devono essere scalabili. Spesso, quelle al centro dell’azione dei Governi non lo sono. In particolare, non lo è stata nei decenni passati quella del cosiddetto riequilibrio modale da modi di trasporto più energivori a quelli che lo sono meno. Nonostante l’ingente sforzo finanziario profuso – più di mille miliardi trasferiti alle ferrovie in Europa negli ultimi venti anni – e l’innegabile successo dell’alta velocità su alcune delle rotte più ricche di traffico, tra il 1995 e il 2017 gli spostamenti in aereo sono cresciuti quattro volte di più, e quelli in auto di dieci volte, rispetto a quelli in treno. Voto: gravemente insufficiente.
E veniamo alla efficienza. La sostanziale irrilevanza di un potenziale divieto dei voli sulle brevi percorrenze non è di per sé ragione sufficiente per non attuare il provvedimento. Per decidere assennatamente occorrerebbe valutare caso per caso costi e benefici sapendo che: a) il divieto non consente di discriminare tra situazioni anche molto diverse in termini di offerta alternativa di servizi e neppure tra viaggiatori che traggono dallo spostamento in aereo utilità differenziate in un ampio intervallo; b) nel tempo i benefici del provvedimento sono destinati a ridursi in parallelo con la diminuzione delle emissioni dei velivoli, condizione imprescindibile per poter raggiunger il traguardo del net zero. A meno di immaginare che tra trent’anni nessuno si sposterà più in aereo (ma tutte le stime puntano a una crescita della domanda rispetto a oggi), sarà possibile annullare le emissioni complessive solo azzerando quelle unitarie. Così facendo, però, verrà meno il vantaggio ambientale del treno rispetto all’aereo. Non si può dunque escludere che vi siano situazioni nelle quali il divieto di volo sia giustificato ma prima di attuarlo occorrerebbe dimostrare che il costo di abbattimento della CO2 è più basso rispetto a tutte le altre alternative disponibili. Dirimente è il fatto che si decida o meno di costruire una nuova linea ferroviaria: ad esempio, qualora si realizzasse la nuova linea AV tra Salerno e Reggio Calabria con un investimento a preventivo di almeno 22 miliardi interamente a carico dello Stato, si dovrebbero spendere oltre 4.000 € per ogni tonnellata di CO2 risparmiata, quasi cento volte di più rispetto alle opzioni oggi più efficienti.
In sintesi: il divieto è localmente efficace, pressoché irrilevante globalmente e di efficienza dubbia e calante nel tempo. C’è un’alternativa che sia al contempo efficiente, efficace ed equa? Sì, è quella di applicare a tutto il settore aereo, come già accade per quello stradale tramite le accise sui carburanti, una carbon tax crescente nel tempo ed equivalente al danno arrecato dalla CO2 emessa. Questo approccio consentirebbe di discriminare tra spostamenti con maggiore o minore utilità, eliminando solo quelli che sono socialmente dannosi. Le scelte dei singoli – continuare a spostarsi in aereo, scegliere il treno o non spostarsi affatto – sarebbero automaticamente allineate all’interesse collettivo. Le compagnie aeree adeguerebbero l’offerta alla luce del mutato quadro della domanda e avrebbero il corretto incentivo a ridurre (o catturare) le emissioni dei velivoli investendo maggiormente in innovazione.
Vietare è un po’ come usare il martello; meglio cesellare con l’internalizzazione dei costi esterni.