21 marzo 2024

di Marco Ponti

Una buona teoria economica per essere tale deve essere come il gatto del presidente Mao: non importa che colore abbia, purchè prenda i topi. Cioè sia utile a qualcosa.

Al recente convegno milanese Politecnico-BRT sono emerse tre questioni teoriche che forse a qualcosa possono servire. In quella sede sono state solo accennate, per non far addormentare parte dei pur volenterosi partecipanti.

Qui ne presentiamo in modo molto semplificato le prime due, che concernono entrambe soprattutto la congestione del traffico.

La prima riguarda l’ambiente, ma più in particolare la congestione del traffico, come si è detto. Si chiama “inversione della regola di Ramsey-Boiteaux”.

Questa regola, individuata negli anni ’30 del secolo scorso (da un amico della scrittrice Virginia Woolf), dice che se si deve tassare qualche attività economica, è meglio per il benessere collettivo tassare attività che con la tassa riducano il meno possibile la produzione (ricordando che tutto quello che aumenta i costi riduce la produzione).

Per gli economisti, “meglio tassare le produzioni a domanda rigida, per minimizzare le perdite di surplus sociale”.

Cosa molto ragionevole, e nei trasporti è stata applicata (non si sa bene per il benessere collettivo o per incassare più soldi) soprattutto alle tasse sui carburanti, per circa il 200%.

Infatti la “produzione di viaggi stradali” è diminuita pochissimo, al massimo si può dire che è aumentata un po’ meno di quanto lo sarebbe stato senza quella tassa.

E in più gli automobilisti erano ricchi.

Ma dalla fine del secolo scorso è emerso un nuovo e diverso obiettivo pubblico: ridurre le emissioni nocive all’ambiente. Questo fenomeno tuttavia contiene implicitamente una valenza opposta a quello di ridurre al minimo la produzione: al contrario, una riduzione delle produzioni più inquinanti è auspicabile, in quanto dannose per la collettività.

Ma allora, a parità di ricavi fiscali, la regola si inverte: è meglio tassare le produzioni che si riducono di più, otterremo migliori risultati in termini di benessere collettivo.

Per gli economisti, “meglio tassare le produzioni a domanda elastica, per minimizzare le perdite di surplus sociale che generano i costi ambientali”.

Il che vuol dire anche dove esistono alternative meno costose, il che è ragionevole.

Tra settori diversi, significa che è meglio tassare quelli inquinanti che sino ad ora sono meno tassati, come l’agricoltura, che inquina molto ed è addirittura sussidiata, e le produzioni “enegivore” (alluminio, vetro, siderurgia, cemento, e la raffinazione stessa).

Infatti la riduzione dei consumi energetici costa più che proporzionalmente: per qualsiasi produzione inquinante, abbattere l’ultima tonnellata di CO2 costa molto più che abbattere la prima. Anche nei trasporti stradali.

E i trasporti stradali hanno notoriamente costi unitari di abbattimento molto alti, proprio perché, essendo già molto tassati, hanno già abbattuto molto: una automobile venti anni fa inquinava dieci volte tanto che una attuale.

Questo discorso vale anche per la congestione, che è, come l’ambiente, un “costo esterno”, ma che è invece poco tassata, e riguarda di nuovo il trasporto stradale.

Anche qui i risultati possono essere molto positivi, e le politiche dovrebbero concentrarsi dove esistano non solo elevati livelli di congestione, ma anche alternative significative, sia in termini di trasporti pubblici, che, per le autostrade, di percorsi di viabilità ordinaria sottoutilizzati.

Cioè, anche per i trasporti, meglio tassare dove un fenomeno negativo è poco tassato ed ha alternative significative. Questo è stato dimostrato quantitativamente a livello nazionale, proprio dal modello di simulazione del traffico presentato al convegno citato.

Ma da quella simulazione è emersa anche la grande complessità di calcolo necessaria per stabilire tariffe di congestione efficienti.

Gli studiosi che se ne sono occupati sono riusciti, pur giungendoci per strade diverse, a definire una soluzione semplificata, che potrebbe avere applicazioni pratiche importanti, visto che la tecnologia di tariffazione ha fatto grandi progressi (cfr. sistemi free-flow o satellitari).

Inoltre, la probabile riduzione dei ricavi fiscali legata all’elettrificazione del parco veicolare, configura un fabbisogno crescente di altre fonti fiscali. In questo scenario, la tariffazione efficiente della congestione può assumere una rilevanza pratica crescente.

Ora, la tariffa efficiente per la congestione non è quella che la elimina del tutto (le strade sarebbero sottoutilizzate).

In condizioni di congestione, ogni utente rallenta tutti gli altri, e ognuno circa nella stessa misura.

Ma alcuni hanno meno bisogno di altri di viaggiare proprio in quell’ora e su quella strada. Questi sono gli utenti che vale la pena spostare con la tariffa su altri percorsi, o su altri modi di trasporto, o in un diverso orario.

Per gli economisti, questi utenti “hanno un’utilità inferiore ai costi esterni che generano, quindi viaggiando diminuiscono il benessere collettivo”. Ovviamente, viaggiano ugualmente perché non percepiscono il danno che generano.

La formula semplificata per calcolare questa tariffa dipende sia dal traffico che verrà beneficiato, sia da quanto ogni utente rallenta tutti gli altri.

Di nuovo, per gli economisti “la tariffa ottima è quella che azzera la derivata prima dei tempi monetizzati C rispetto al traffico T, moltiplicata per il traffico, cioè (dC/dT)T”.

Se l’aumento dei costi unitari C per una tratta della curva si può assumere costante, e uguale a K, la tariffa ottima diventa  addirittura quella costante moltiplicata per T: KT”. Poiché l’assunzione della costanza dell’aumento dei costi in pratica è abbastanza accettabile, ne risulta una soluzione davvero semplice e rapida da usare, soprattutto per valutazioni preliminari di politiche tariffarie.