1 luglio 2025

di Marco Ponti

1. Sembra evidente che l’attuale politica concessoria per le autostrade non abbia dato risultati soddisfacenti

    I livelli di manutenzione sono spesso risultati inadeguati, fino alla tragedia del ponte Morandi. Sembra anche che le clausole di indennizzo per il principale concessionario siano state straordinariamente generose, e che ci siano casi di vistosi extraprofitti (non controbilanciati da corrispondenti casi di perdite per i concessionari meno efficienti).

    Non risulta inoltre motivata in nessun modo la gestione difforme di strade nazionali con caratteristiche autostradali ad uso gratuito, generando disparità non giustificate tra utenti, ed insormontabili difficoltà sia per una pianificazione integrata di infrastrutture stradali che per una allocazione efficiente dei flussi di traffico.

    Inoltre l’attuale sistema tariffario non sembra prevedere mai l’ammortamento complessivo delle opere, neppure dopo molti decenni, facendo ritenere che in realtà il prelievo tariffario abbia assunto più un carattere di prelevo fiscale. Si segnala per esempio che in Spagna una importante autostrada è stata interamente liberalizzata, in quanto è risultata interamente ammortizzata dagli utenti.

    Non sono note analisi di questa natura nel caso italiano.

    2. E’ altrettanto verificata anche a livello teorico l’inefficienza del modello tariffario usato

    La tariffazione a costi medi (ACP) infatti determina sia una perdita di surplus sociale a livello di singole tratte, che una inefficienza conclamata nell’allocazione dei flussi di traffico.

    Per singole tratte la tariffazione ai costi marginali sociali (MCP) esclude solo gli utenti la cui utilità (WtP) è inferiore ai costi sociali che generano viaggiando, cioè ottimizza l’usa dell’infrastruttura, anche potendo tener conto dell’eventuale congestione.

    In questo modo, al contrario dell’ACP, massimizza il surplus sociale.

    A rigore questo non accadrebbe solo se il costo dei fondi pubblici (COMPF), generato dal finanziamento pubblico degli investimenti implicito nel MCP, superasse la perdita di surplus dell’ACP. Ma questo sarebbe tutto da dimostrare, cosa non possibile qui.

    A livello di rete, l’ACP genera vistose inefficienze attraverso tariffe tendenzialmente elevate per infrastrutture nuove, non ammortizzate, e tariffe inferiori per infrastrutture esistenti spesso congestionate (esemplare il caso della BREBEMI, ma il problema si presenta spesso anche nei confronti della viabilità ordinaria).

    Infine, dall’inefficiente allocazione dei flussi ne discendono anche maggiori costi ambientali, legati alle emissioni in situazioni di congestione.

    E lo stesso assetto economico delle infrastrutture di trasporto è reso arbitrario dall’uso dell’ACP per le autostrade: per le ferrovie, vale il MCP, per altri modi di trasporto, valgono sistemi intermedi.

    3. Anche nell’allocazione dei rischi commerciali prevalgono quelli teoricamente impropri, generando complessità ingestibili

    La teoria regolatoria non consente dubbi: i rischi che vanno assegnati al concessionario sono solo quelli che è in grado di controllare (cfr. Linee guida 9 dell’ANAC per i PPP: “Le amministrazioni aggiudicatrici identificano e valutano gli specifici rischi connessi alla costruzione e gestione dell’opera o del servizio oggetto del contratto di PPP, ponendo gli stessi in capo al soggetto che presenta la maggiore capacità di controllo e gestione degli stessi”).

     I rischi industriali sono certamente tre questi, mentre il rischio traffico altrettanto certamente non lo è. Dipende dalle tariffe dei modi alternativi, dal ciclo economico, dall’andamento demografico, dal prezzo del petrolio e dalle accise sui carburanti. Ma anche dalla realizzazione di infrastrutture parallele.

    Ma la migliore verifica che l’attuale prassi consente ai concessionari di spuntare “coefficienti di rischio” nelle formule tariffarie per loro assolutamente convenienti sta nella loro ferma e unanime opposizione ad ipotesi che vedano ridotto o annullato questo rischio, cioè all’opposizione che si passi da una tariffazione ACP ad una MCP.

    Cioè che ci si limiti a delegare loro solo i rischi industriali, diminuendo il livello complessivo di rischio per i concessionari.

    Chiaramente le modalità attuali di negoziazione tra concedenti e concessionari su rischi commerciali e WACC risultano nel complesso molto convenienti per questi ultimi

    Ma certo non è così per gli utenti.

    Infine, se vi sono in atto meccanismi di “cattura del regolatore”, questi vengono accentuati dai tempi lunghi delle concessioni, necessari per gli ammortamenti nel caso di ACP, al contrario che nel caso del MCP. Anche l’AGCM anni or sono denunciò gli aspetti negativi di concessioni troppo estese nel tempo.

    4. Un compromesso accettabile è una tariffa in due parti, ma dovrebbe valere per tutti i modi di trasporto

    In presenza di un costo-opportunità elevato dei fondi pubblici (cioè di vincoli di bilancio stringenti), la letteratura raccomanda in termini univoci l’uso di tariffe in due parti, una fissa per i costi non variabili con il traffico, e una legata ai costi marginali (MCP).

    In questo modo non si ovvia risolvono i problemi della perdita di surplus conseguente alla perdita di utenti del ACP, ma è possibile allocare il traffico in modo efficiente, e si evita la perdita di surplus legata ai costi dei fondi pubblici (COMFP).

    Ovviamente, se questo fosse un principio accettato, dovrebbe essere applicato a tutte le infrastrutture di trasporto, per garantire una allocazione complessiva efficiente della domanda del settore (plain level field).

    Si ricorda per inciso che le esternalità ambientali sono generate essenzialmente dai veicoli, e non dalle infrastrutture, e in quel senso devono agire le politiche, come indicato anche dalla Commissione Europea.

    Una tariffa in due parti di questo tipo imporrebbe a tutti gli utenti che godono del servizio autostradale gli stessi oneri fissi per km percorso, per un ammontare complessivo annuo che coprirebbe tutti i costi fissi del sistema. Anche in termini di equità orizzontale questa sembra una soluzione più accettabile delle attuali disparità tariffarie (che tra l’altro non internalizzano nemmeno i costi di congestione).

    Che fare per avvicinarsi almeno a una soluzione sub-ottimale ma migliore di quella attuale?

    Si può procedere per gradi, creando una quota fissa della tariffa, destinata a crescere nel tempo, e ad intervenire sollevando i concessionari di alcuni dei rischi commerciali impropri

    attuali, e ovviamente diminuendo in proporzione il “premio di rischio” nel computo delle tariffe.

    Sempre che i concessionari accettino una diminuzione dei loro rischi, ai quali sembrano davvero molto affezionati.