26 settembre 2020

di Francesco Ramella

È sussidiato il gasolio in Italia? Sembra esserne convinto il Ministero dell’Ambiente che da alcuni anni pubblica un catalogo degli interventi pubblici – incentivi, agevolazioni esenzioni – che determinano un incremento dell’impatto ambientale di attività produttive e consumi.
Tra questi viene incluso il più favorevole trattamento fiscale del diesel rispetto alla benzina.
Ma è corretto classificare tale misura come “sussidio ambientalmente dannoso”?
Partiamo dal sostantivo. Quando un prodotto è sussidiato dallo Stato o da un altro soggetto pubblico il prezzo di acquisto è inferiore a quello di mercato. Non è, in tutta evidenza, il caso dei carburanti. L’attuale prezzo industriale di benzina e gasolio si attesta poco sopra gli 0,4 € al litro. Esentasse, un “pieno” da 50 litri ci costerebbe dunque intorno ai 20 €. Con le tasse – IVA e accise e IVA sull’accisa – il prezzo grosso modo triplica: un po’ di più per la benzina e un po’ meno per il gasolio. Sono dunque automobilisti e imprese di autotrasporto a sussidiare lo Stato, per un totale di oltre 35 miliardi all’anno e non viceversa.

D’altra parte, se si accetta l’assunzione che una minore accisa equivalga a un sussidio ne consegue una implicazione paradossale. Un ipotetico aumento dell’accisa sulla benzina determinerebbe infatti al contempo un accrescimento delle entrate per l’Erario e un incremento dell’entità complessiva del sussidio.
E, viceversa, il sussidio scomparirebbe e le entrate fiscali si ridurrebbero se l’accisa sulla benzina venisse ridotta.
Possiamo dunque assolvere il gasolio dall’accusa di essere sussidiato in termini strettamente economici come, ad esempio, per restare nel settore dei trasporti, lo sono autobus e treni.
Veniamo ora all’ambiente. Lo facciamo introducendo il concetto di esternalità. Si tratta anche in questo caso di un costo che però, a differenza di quello di produzione, in assenza di un intervento pubblico viene fatto pagare a terzi. Spostandoci in auto emettiamo inquinanti locali, anidride carbonica e provochiamo rumore (oltre a usurare la strada).
È dunque corretto affermare che c’è un sussidio ambientalmente dannoso quando il costo arrecato agli altri non viene “internalizzato” per via fiscale. È questa la definizione fatta propria dal Fondo Monetario Internazionale secondo la quale il sussidio è pari “allo scarto fra il prezzo osservato e il costo marginale sociale della produzione, che include i danni alla società”.
Per comprendere se davvero gasolio (e benzina) siano sussidiati occorre dunque confrontare il prelievo fiscale e i costi esterni ambientali e di usura della infrastruttura. Così facendo, si giunge alla conclusione che, per la maggior parte dei veicoli e degli ambiti di utilizzo, il livello di internalizzazione è superiore a quello ottimale. Chi inquina paga, quasi sempre più di quanto sarebbe equo ed efficiente. In ambito urbano, quello più critico a causa della maggior densità abitativa e di traffico, per un’auto a benzina Euro 6 la tassazione è pari a circa 2,6 volte la somma di costi correlati a inquinamento e usura della strada: per ogni 100 km percorsi il costo arrecato alla collettività è intorno ai 3,50 € a fronte di un ammontare versato di quasi 10 €.
Il divario fra il dare e l’avere si amplia ulteriormente per i percorsi autostradali. In questo caso al prelievo sul carburante si assomma infatti il pedaggio che quasi raddoppia l’esborso mentre le esternalità si dimezzano: il rumore e le emissioni di inquinanti locali sono molto meno dannose rispetto a quelle prodotte in città.
Alla luce di questi numeri si può concludere che chi usa l’auto non è sussidiato, neppure sotto il profilo ambientale. Al contrario di quanto sostenuto dal Ministero dell’Ambiente, non è l’accisa sul gasolio ad essere troppo bassa ma, semmai, troppo alta quella sulla benzina.
Ne consegue anche che, sotto il profilo ambientale, non sono efficienti i sussidi per i trasporti collettivi e le ferrovie che possono essere giustificati solo nel caso in cui l’internalizzazione non sia prevista o sia parziale.

Se chi inquina paga il (o più del) dovuto, non è nell’interesse della collettività ridurre ulteriormente per motivazioni ambientali quell’attività ossia, nel caso specifico, il numero di chilometri percorsi in auto.
Vi è però un’altra tipologia di esternalità che non viene internalizzata. È la congestione conseguenza del fatto che, laddove il traffico è elevato, ogni veicolo in più rallenta tutti gli altri. Il costo è in questo caso rappresentato dall’aggravio di tempo.
Aumentare l’accisa sui carburanti per ridurre la congestione equivale a usare il martello laddove servirebbe il cesello ossia il pedaggio urbano. È una opzione che riduce troppo il traffico dove ce n’è poco e lo riduce troppo poco dove ce n’è troppo.
E che, al margine, comporta l’impossibilità di servirsi dell’auto per un maggior numero di persone a basso reddito che risiedono lontano dalle aree più densamente popolate e non dispongono oggi e non potranno avere in futuro un servizio di trasporto collettivo che garantisca loro opportunità di spostamento e, quindi, di raggiungimento in tempi ragionevoli di un potenziale posto di lavoro, paragonabili a quelle consentite dall’auto.
L’accisa, forse sarebbe il caso di ricordarlo più spesso, è regressiva. Così come lo sono buona parte dei sussidi, quelli veri, ai trasporti collettivi. Potrebbe non essere una cattiva idea provare a catalogarli.

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