19 gennaio 2023
di Marco Ponti
Accise e pedaggi hanno contenuti molto diversi, pur collaborando ad accelerare l’inflazione
In termini reali, cioè al netto dell’inflazione che viaggia sopra il 10%, sia il prezzo dei carburanti che i pedaggi autostradali crescono molto poco, nonostante il clamore mediatico contrario: la benzina cresce dello stesso ordine dell’inflazione (18 centesimi su prezzi medi intorno ai 1,7 euro al litro), i pedaggi autostradali (2,5%) ancor meno, ma è previsto un secondo aumento più consistente a metà anno.
Ma è certo che questi aumenti contribuiscono in modo particolare all’inflazione, perché attraverso il trasporto merci, colpiscono tutti i beni per i consumatori finali, mentre le imprese hanno molti più mezzi per difendersi, in particolare scaricando gli aumenti sui prezzi finali.
Vediamo le due voci un po’ più da vicino.
Le accise e l’IVA sui carburanti formano più della metà del loro costo di produzione (variabile con i prezzi del petrolio e con le strozzature nei processi di raffinazione, problema rilevante perché dalla Russia arrivavano anche prodotti semiraffinati).
Si tratta di una tassazione che si può definire più che accettabile, perché ha un valore per unità di emissioni dello stesso ordine di grandezza dei costi ambientali definiti dalla Commissione Europea, cioè “internalizza” buona parte dei costi sociali del trasporto stradale (più per le auto e meno per i camion). Si vedano in proposito le analisi sia dell’OECD che del Fondo Monetario Internazionale.
E questo pur con gli elevati standard ambientali europei, molto più severi di quelli medi mondiali. Inoltre questi standard europei sono previsti in crescita ulteriore, quindi davvero non sembra saggio in termini ambientali ridurre queste accise, nonostante l’ISTAT abbia stabilito che questa tassa sia regressiva, cioè colpisca relativamente di più le categorie a reddito inferiore.
L’accettabilità degli attuali pedaggi autostradali è invece oggetto di perplessità molto maggiori. Il principale concessionario autostradale, AspI, che è titolare di più di metà della rete nazionale a pedaggio, ma gestisce il 75% del traffico, ha goduto di tali rendite in passato (più del 12% di profitti annui garantiti sulle risorse investite) che gli utenti hanno sicuramente ammortizzato la rete che percorrono.
Tuttavia il nuovo padrone pubblico, CDP affiancato al 49% da privati, mantiene pedaggi tali da garantirgli anche il recupero della “buonuscita” miliardaria garantita ai padroni precedenti, che pure avevano provocato il crollo omicida del ponte di Genova. Considerazioni di equità richiederebbero che infrastrutture già ammortizzate divengano gratuite, come è successo per un’importante autostrada spagnola,
Anche in termini di efficienza, pedaggi che recuperino i costi di investimento delle infrastrutture diminuiscono il benessere collettivo, anche se qui non è possibile dilungarsi sul tema (si tratta di “monopoli naturali”). Si tenga conto, tornando agli aspetti ambientali, che non sono le infrastrutture che inquinano, ma chi ci passa sopra.
Questo però per chiarire la differenza tra i due aumenti in corso, ma oggi il tema da affrontare è indubbiamente il loro impatto sull’inflazione, tassa implicita profondamente ingiusta, che colpisce i cittadini due volte, una prima con i prezzi elevati, e una seconda con lo slittamento verso l’alto delle aliquote fiscali (noto come “fiscal drag”).
La ripartizione modale non c’entra: i numeri sono evidenti
Innanzitutto sgomberiamo il campo da un noto mito che emerge sempre in caso di aumento dei prezzi dei carburanti: “se ci fosse meno traffico merci sulle strade e crescesse la quota per ferrovia il problema sarebbe meno grave”. Il traffico merci per ferrovia in tutta Europa è dell’ordine del 10% in termini di quantità, ma inferiore al 5% in termini di fatturato. In Italia siamo intorno al 2%, quindi anche raddoppiando (a costi pubblici altissimi) il traffico ferroviario, l’impatto economico di questo cambio modale sarebbe limitatissimo.
Comunque, è sensato usare queste tariffe per combattere l’inflazione? Cioè la leva delle tariffe amministrate è migliore degli strumenti macroeconomici che hanno come effetto spinte recessive sull’intero sistema economico?
Innanzitutto vi sarebbe una politica antinflazionistica molto efficace e “strutturale”: aumentare il livello medio della concorrenza, basso in Italia, eliminando molte sacche di rendita. Ma non sarebbe certo una azione sufficientemente rapida contro questa tassa iniqua che colpisce soprattutto i redditi più bassi.
Un intervento temporaneo anti-inflazione sembra giustificato
Probabilmente ridurre subito gli aumenti di cui stiamo parlando, per un periodo limitato, sarebbe opportuno, proprio nella misura in cui l’effetto di questi aumenti colpisce direttamente e rapidamente il paniere dei consumi delle famiglie, cioè ha contenuti fortemente regressivi, mentre gli effetti sociali di un rallentamento complessivo dell’economia hanno impatti più diffusi e più dilatati nel tempo.
Ciò sempre tenendo in mente tuttavia sia che gli sconti tariffari sui carburanti hanno impatti ambientali negativi, e che sarebbe comunque preferibile, anche in termini di equità intervenire sui pedaggi autostradali.
La seconda opzione non è agibile a causa del contratto con la nuova AspI? Adesso la maggioranza è pubblica, e se ci fosse la volontà politica di non continuare a penalizzare arbitrariamente gli utenti, una soluzione tecnica si troverebbe certamente.