23 gennaio 2023

di Marco Ponti e Giorgio Ragazzi

Quando proposero di costruire un tunnel sotto la Manica che collegasse Francia ed Inghilterra, la Thatcher disse che avrebbe dato tutte le autorizzazioni richieste ma che i soldi doveva metterceli la società promotrice del progetto (cioè doveva esser pagato tutto dagli utenti). Da politico di destra qual era voleva tutelare i contribuenti e lasciare che sulla convenienza dell’investimento decidessero i privati e non lo Stato. Salvini invece, appena nominato ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, non ha avuto alcuna esitazione a dichiarare che il Ponte sullo stretto si sarebbe fatto, e i lavori sarebbero addirittura iniziati entro un paio di anni.
Il neo ministro non ha avuto nemmeno il tempo di chiedere aggiornamenti sulle previsioni di traffico e di costi, figuriamoci poi stimare i benefici e costi sociali attesi. Visto che non risulta vi sia alcuna società privata disposta a finanziare quest’opera, la sicurezza di Salvini deriva evidentemente dal proposito di porre tutto a carico dello Stato. Strana posizione per uno che si definisce di destra. Eppure la storia del tunnel sotto la Manica, che collega spazi economici ben più rilevanti della Sicilia, dovrebbe far ben riflettere sui rischi di questi mega progetti: rispetto alle previsioni iniziali il costo del tunnel risultò doppio e il traffico meno della metà di quanto previsto. Gli azionisti privati che finanziarono l’opera persero praticamente tutti i loro soldi.
Uno studio ministeriale di un paio d’anni fa praticamente escludeva la fattibilità tecnica di un tunnel, sia sottomarino che semigalleggiante (“tunnel di Archimede”). Si potrebbe costruire un ponte a campata unica di 3 km nel punto dove le due coste sono più vicine. Ma, oltre a sollevare notevoli problemi sismici, essendo una struttura molto flessibile, in tutti i giorni di venti forti, molto frequenti sullo stretto, non sarebbe probabilmente utilizzabile. Inoltre, essendo nell’estremo nord dello stretto, lontano sia da Messina che da Reggio Calabria, sarebbe scomodissimo per tutto il traffico locale (quello principale), che continuerebbe a usare i traghetti perché per molti utenti addirittura più veloci. E questo anche immaginando che tutti i costi siano a carico dello Stato e che quindi non si applichi pedaggio alcuno sul transito: un pedaggio ridurrebbe ancora un’utenza che, dai dati di quello stesso studio, si poteva dedurre non essere certo altissima.
Si osserva che il Ponte è visto come opera essenziale a completamento e giustificazione del progetto ferroviario di raddoppio ad Alta Velocità della linea tra Salerno e Reggio Calabria. Si tratta della maggior opera infrastrutturale del PNRR, prevista costare una cifra compresa tra i 22 e i 29 miliardi (tra 5 e 7 TAV, per intenderci) tutti a carico dei contribuenti. Rispetto alla linea esistente tra Salerno e Reggio Calabria, in fase di velocizzazione e molto lontana dalla saturazione (al massimo di arriva al 50% della capacità), con la nuova linea si otterrà un risparmio di circa 40 minuti di tempo di viaggio. Un costo spropositato per un beneficio minuscolo. D’altronde il forte aumento previsto per i costi di costruzione costringerà molto probabilmente a rinviare, se non ridimensionare, il progetto AV Salerno-Reggio, con ovvie implicazioni anche per l’utilità del ponte ferroviario sullo stretto, di cui peraltro non si conoscono stime di costo nemmeno approssimative.
Per la prima tratta della Salerno – Reggio (7 Miliardi di costo previsto) è stata presentata una analisi costi-benefici sociali, ma a decisione già data come presa, e dal soggetto stesso destinatario dei soldi (Ferrovie dello Stato), che di conseguenza si è visto costretto ad usare una metodologia talmente ottimistica che probabilmente avrebbe dimostrato fattibile qualsiasi cosa.
La netta impressione è che si tratti di soldi e di annunci il cui scopo è la ricerca di consenso elettorale, molto più che non quello di far crescere il Mezzogiorno, che di cose molto diverse avrebbe bisogno.
Quand’anche, con enorme dispendio di risorse pubbliche, si costruisse una rete ad alta velocità da Salerno a Catania e Palermo, la concorrenza del mezzo aereo condannerebbe questa rete servire un traffico esiguo rispetto sia ai costi che alla capacità delle linee, che si ricorda essere di 300 treni al giorno.