21 novembre 2023
di Marco Ponti
Chi si preoccupa per i servizi pubblici contro lo scambio politico tra lavoratori nei servizi e voti passa per salviniano. Questo scambio è interpartitico ma più accentuato a sinistra. Vediamo i due casi più clamorosi, ma tutt’altro che isolati, anzi al sud sono spesso la norma.
Cominciamo da Roma con il caso dei netturbini. A fronte di un assenteismo sistematico e molto elevato (si parla del 17%), il sindaco PD Gualtieri propose un premio in denaro per chi si presentava al lavoro. Ci fu una forte protesta mediatica, e pare che la proposta fu ritirata (ma forse ha assunto forme meno clamorose, chissà). Inoltre il servizio costa molto di più ai contribuenti che non in città similari, e sembra che comunque la qualità rimanga bassissima.
Da ultimo, l’ineffabile Gualtieri sembra che indica una gara per trovare lavoratori temporanei per le feste di natale e capodanno, per evitare che i dipendenti in quel periodo si dileguino. E, a chi scrive, dalla sindaca pentastellata Raggi fu offerta una posizione di vertice nell’azienda comunale dei trasporti (ATAC), che vedeva fenomenali problemi di inefficienza: ore di guida, manutenzione dei mezzi, assenteismo.
La proposta di seguire le raccomandazioni europee, cioè di fare una gara per l’affidamento del servizio interruppe bruscamente il colloquio, con un “nessuna gara, i dipendenti non vogliono”. Comunque ATAC ha recentemente ottenuto di rimandare ancora la gara per un tempo indeterminato. Inutile anche osservare che l’azienda costa ai contribuenti più di un milione al giorno in sussidi, e sembra proprio che i servizi non siano realmente eccellenti…
Per rimanere nella capitale, celebre è anche il caso di Alitalia (pubblica), che dovette cancellare un gran numero di voli per una importante partita della nazionale di calcio, perché quel giorno i dipendenti locali erano tutti ammalati.
Veniamo adesso a un caso lombardo, quello delle ferrovie nord (FNM). Sono di proprietà della regione, che eroga massicci sussidi alla propria azienda e ne valuta i risultati in quanto ente concedente. I ritardi, la cancellazione di corse, i costi per i contribuenti, la frequenza di scioperi appaiono fatti abbastanza evidenti. Ma la regione, al momento di decidere se mettere in gara il servizio o continuare senza gara ha argomentato che la propria azienda era una assoluta eccellenza, e meritava non solo di continuare senza gara, ma anche di ricevere più soldi dai contribuenti. E perché mai il padrone di un’azienda dovrebbe dire cose diverse?
E c’è stato recentemente anche il caso dello sciopero nazionale, che ha visto CGIL e UIL chiedere per i trasporti pubblici uno sciopero esteso a tutto il paese, mentre per il settore privato era limitato alle regioni centrali. Salvini e l’autorità competente (forse non neutrale) hanno ridotto a quattro ore lo sciopero del TPL e delle ferrovie.
Gli aspetti giuridici sono certo controversi, ma è più che legittimo argomentare, come molti anche da sinistra hanno fatto, sull’opportunità politica dello sciopero nei trasporti, che impedisce a molti lavoratori che non scioperano (sottooccupati, lavoratori non dipendenti, chi decide per ragioni economiche di non scioperare ecc.) di recarsi al lavoro, perdendo così soldi e aumentando artificialmente il numero delle astensioni dal lavoro. Per non parlare degli ingorghi di traffico, che colpiscono così la mobilità di un’ulteriore quota della popolazione.
È vero che in Italia si sciopera poco rispetto alla media europea, ma gli scioperi sono concentrati proprio nei trasporti pubblici, quasi sempre al venerdì. Questi scioperi, si badi, non colpiscono le aziende, che risparmiano soldi e non possono fallire essendo quasi tutte pubbliche. Colpiscono solo gli utenti e la collettività in generale. Che questo non sia il modo migliore per ottenere consenso, per gli attori che promuovono o tollerano questi scioperi, sembra davvero evidente.
Ma non è tutto: i lavoratori del settore pubblico, a parità di salario e di carichi di lavoro, godono di condizioni molto più favorevoli di quelli del settore privato: individualmente non rischiano di essere licenziati, e collettivamente non rischiano che la loro azienda fallisca e la parità di salario e di carichi lavorativi tra aziende che vogliono fare profitti e aziende pubbliche, è tutta da dimostrare.
Per concludere, arriviamo allora alla “madre di tutto il problema”, la regolamentazione europea che stabilisce la totale parità di trattamento tra imprese pubbliche e private, che deve essere osservata dalla normativa per la regolazione dei mercati, in particolare proprio per le gare di affidamento dei servizi (e la stessa Brexit è stata motivata in parte da queste norme europee).
E’ evidente che non è così: prendiamo per esempio il costo del denaro, che è legato al rischio di fallimento, e che è ovviamente più basso per un’impresa pubblica e in gare indette da amministrazioni pubbliche, come può esserci vera concorrenza tra imprese pubbliche che non possono fallire e sono gradite ai sindacati, e imprese private?
Queste ultime sono ovviamente osteggiate dai lavoratori, che preferiscono un monopolio controllato dalla sfera politica e altrettanto ovviamente non è colpa dei lavoratori praticare il “voto di scambio” a danno dei contribuenti e della collettività: difendono i loro più che legittimi interessi.
Ma è certo colpa dei politici che ne approfittano e lo incoraggiano.