20 maggio 2024
di Marco Ponti
Perché vent’anni? Perché è circa il tempo trascorso dal primo “Libro bianco” europeo sulle politiche del settore.
Considereremo per semplicità le quattro aree che risultano le più caratterizzanti per le politiche del settore:
– le liberalizzazioni, cioè la selezione delle imprese più efficienti effettuata dai meccanismi di mercato,
– le infrastrutture, che essendo monopoli naturali non possono che essere decise da soggetti pubblici,
– l’ambiente, anch’esso un aspetto che postula l’azione pubblica,
– la socialità, ovvero gli impatti sulla distribuzione del benessere economico, obiettivo eminentemente pubblico.
E’ vero che l’efficienza può essere conseguita anche da azioni solo pubbliche, e che gli obiettivi pubblici che abbiamo citato possono parimenti essere frutto di azioni private o essere ottenuti con meccanismi di mercato, ma limitiamoci alla distinzione più corrente.
In questo primo articolo analizziamo la politica delle liberalizzazioni, essendo la creazione di un mercato concorrenziale l’obiettivo su cui l’Europa punta maggiormente per la sua crescita economica.
Dove prevalgono operatori privati, cioè nei servizi di trasporti stradali di merci e passeggeri, nel settore aereo ed in quello dei trasporti marittimi, sembra esservi un livello di concorrenza accettabile, con qualche eccezione minore o al di fuori del controllo europeo, come il rischio di cartellizzazione dei grandi operatori dei trasporti marittimi, a causa della loro possibile verticalizzazione multimodale (le imprese dominanti non è bene che si integrino verticalmente, la concorrenza ne può soffrire).
L’azione europea in particolare ha agito con efficacia nei trasporti aerei intraeuropei (l’avvento inaspettato delle compagnie low-cost ha abbassato sensibilmente le tariffe per tutti gli utenti del modo aereo, fino a mettere in crisi diverse compagnie full-cost).
I servizi aerei intercontinentali invece sono soggetti ad accordi bilaterali tra nazioni che di fatto limitano la concorrenza.
Tuttavia rimane il dubbio che accettare comunque una maggior liberalizzazione possa giovare agli utenti, anche pagando il prezzo di qualche danno per le compagnie aeree europee (che tuttavia sarebbero stimolate ad efficientarsi).
L’azione europea è stata efficace anche per liberalizzare i servizi di autobus di lunga distanza, usati da moltissimi degli utenti a più basso reddito.
Anche il mercato dei veicoli stradali si è mantenuto nel complesso concorrenziale, pur se siamo ora in presenza di rischi di elevate barriere sui veicoli elettrici cinesi, barriere che, oltre a danneggiare gli utenti, rallenterebbero la conversione ambientale del settore.
Aperto è ora anche il tema dell’introduzione anche nell’Europa continentale (dopo i paesi scandinavi) dei “gigaliners”, cioè camion con un peso massimo consentito che passa dalle 44 alle 60 tonnellate.
A parità di merci trasportate, l’uso di mezzi più grandi ridurrebbe danni ambientali, congestione, e costi di trasporto. Quest’ultimo aspetto ovviamente provoca vivaci reazioni da parte degli interessi ferroviari.
Un quadro molto diverso invece emerge considerando i settori a prevalente proprietà pubblica: ferrovie e trasporti urbani.
Per le ferrovie vi sono certo delle “attenuanti tecniche”: il sistema è caratterizzato da una forte integrazione funzionale tra rete e servizi (fornitura di energia elettrica, marcia che deve essere controllata centralmente ed è condizionata dall’infrastruttura, ecc.), e vi sono anche elevati costi di ingresso per nuovi operatori (economie di scala, rischi di interventi pubblici “ostili”).
Di questi argomenti si sono serviti ampiamente gli operatori pubblici monopolisti (ed integrati verticalmente) per ostacolare la concorrenza.
Tuttavia hanno fallito due volte: una prima volta non riuscendo a produrre servizi competitivi se non con altissimi costi pubblici (sussidi in conto esercizio e linee nuove di alta velocità tutte a carico degli Stati), e una seconda volta dalla dimostrazione fattuale che la concorrenza può funzionare anche nei servizi ferroviari, se c’è la volontà politica di promuoverla.
Lo confermano i risultati dell’alta velocità in Italia e Spagna, l’affidamento in gara dei servizi locali in Germania, ed il settore merci in tutta Europa.
Nonostante i costi pubblici che abbiamo citato, i sistemi ferroviari europei non sono tuttavia riusciti ad incidere in modo significativo sulla ripartizione modale, e comunque ancora dopo vent’anni vedono livelli competitivi ancora limitati.
Non si può evitare di considerare i tre aspetti che abbiamo elencato come correlati tra loro: scarsa competizione, imprese protette dai sussidi, e risultati quantitativi non soddisfacenti.
Per i trasporti pubblici locali (TPL) il quadro tecnico è marginalmente più favorevole (vi sono meno “barriere all’ingresso”, soprattutto per i servizi autobus, che sono prevalenti).
Tuttavia alcuni meccanismi di fondo sembrano analoghi.
I trasferimenti pubblici alle imprese sono anche qui in genere elevati, e hanno fini formalmente lodevoli (ambiente, lotta alla congestione, socialità), ma generano anche risultati indesiderati, cioè la difficoltà di ricorrere al mercato per selezionare le imprese più efficienti.
In tutte le maggiori città europee, dove è massimo il ruolo del TPL, si osserva infatti una situazione molto statica, nonostante le ripetute raccomandazioni europee di maggiori incentivi alla concorrenza.
Di fatto, dominano imprese pubbliche che politicamente non possono fallire, pur non esistendo economie di scala rilevanti (come ampiamente dimostrato dal caso londinese, eccezione alla regola).
Inoltre il settore potenzialmente si presterebbe ad elevati progressi tecnici (l’informatizzazione dell’incontro domanda-offerta, ma forse anche l’innovazione gestionale, esplosa in modo inatteso per esempio dopo la liberalizzazione del settore aereo).
L’eterogeneità dei fini pubblici che abbiamo ricordato genera anche grandi difficoltà a misurare i risultati reali delle imprese, ricordando che meccanismi competitivi hanno anche il pregio “informativo” sull’efficienza dei soggetti partecipanti: meno ci si confronta, meno si sa.
E senza competizione, si riducono anche gli incentivi al progresso tecnologico e gestionale.
Per concludere, in entrambi i settori pubblici (ferrovie e TPL) sarebbe più tranquillizzante osservare dei fallimenti di imprese, come avviene in tutti i settori dove la competizione è reale.
Costituirebbe la miglior garanzia dell’esistenza di una selezione di quelle più efficienti, e verrebbero meno i dubbi, oggi molto diffusi, del prevalere in questi settori, di obiettivi di consenso politico su quelli della fornitura di servizi efficienti.