29 maggio 2024

di Marco Ponti

Nei trasporti europei dominano quelli stradali, che servono circa l’80% della domanda sia merci che passeggeri, e questo nonostante siano in atto da trent’anni elevati sussidi a ferrovie e trasporti pubblici, ed una ancor più elevata tassazione dei carburanti, pari a circa due terzi del prezzo alla pompa, e comunque maggiore di quella degli altri settori inquinanti.

Questo significa che il trasporto stradale è e rimarrà difficilmente sostituibile, se non per quote marginali.

Questa è opinione ormai consolidata dall’esperienza, oltre che dai modelli di simulazione.

Ma se dunque l’elettrificazione del parco veicolare deve essere la strategia dominante (al contrario di quella che punta su costosi modi alternativi), bisogna constatare che anche qui qualcosa non ha funzionato nelle politiche europee.

Le macchine elettriche sono sussidiate, ma le vendite ristagnano, per il banale motivo che rimangono troppo costose sia nell’acquisto che nell’uso (nonostante la fonte energetica sia meno costosa, anche se solo in quanto meno tassata).  

Sono costose all’acquisto non per la tecnologia impiegata (una macchina elettrica ha un terzo di parti mobili rispetto ad una a combustione interna), ma per una miriade di accessori. Sono macchine di alta gamma, esclusa una piccola quota con autonomia del tutto inadeguata per i viaggi extraurbani.

I problemi d’uso non sono legati solo all’autonomia incerta, ma anche alla comprensibile diffidenza verso le modalità di ricarica e verso la disponibilità di parti di ricambio e di competenze professionali, in caso di guasti.

E per l’Italia sono accentuati dalla scarsità delle stazioni di ricarica, che accentuano i problemi dell’autonomia.

Questo è un fenomeno che l’Europa doveva attendersi: le novità tecnologiche si rivolgono sempre ad un’utenza di elite, disposta a spendere molto, e successivamente i prezzi scendono quando si raggiungono economie di scala diminuendo i costi di produzione, e si esaurisce l’effetto novità.

Ma queste dimensioni produttive non sono state raggiunte, e il circuito virtuoso prima illustrato non si è messo in moto.

L’Europa doveva probabilmente negoziare i sussidi con i produttori, condizionandoli a concentrarsi da subito su modelli a costo medio-basso, al limite anche aumentando i sussidi in una fase iniziale di lancio.

Imporre dazi a modelli cinesi che possono costare molto di meno, e continuare con i sussidi, sperando di far ripartire per questa via il circolo virtuoso sopra illustrato presenta molte incertezze.

La prima è industriale: non dovendo competere con modelli a basso costo, l’industria europea non sarà molto motivata a ridurre i prezzi. I margini si fanno soprattutto sugli accessori, ed in generale sui modelli di alta gamma.

Ne consegue che non è affatto certo se e quando la produzione interna all’Europa si convertirà a modelli a basso costo, se la politica dei sussidi non sarà energicamente riorientata verso questo obiettivo.

Inoltre le produzioni europee e cinesi sono già abbastanza integrate, per cui ci sono rischi di danneggiare direttamente i produttori europei in Cina, oltre che di dazi cinesi “di reciprocità” contro i veicoli europei.

Inoltre in termini occupazionali veicoli elettrici di basso costo vedranno una riduzione di addetti, per le ragioni tecniche già ricordato (tanto da allarmare alcune organizzazioni sindacali).

Ed in termini di innovazione, la tecnologia in uso oggi (batterie al litio) si può considerare matura: ingenti investimenti su questa, prima dell’avvento delle attese batterie allo stato solido, “congeleranno” investimenti che poi dovranno essere adeguatamente ammortizzati.

Poi c’è il costo dei sussidi per le finanze pubbliche (e qualche dubbio in termini di equità dovrebbe sorgere: finanziare consumi relativamente costosi non sembra molto progressivo).

Inoltre i benefici agli utenti, in termine di maggior benessere, sono nettamente inferiori alla spesa (anche se qui non è possibile articolarne i motivi).

E ovviamente se pur il mercato dei veicoli elettrici a basso costo crescerà, lo farà lentamente, con i tempi della crescita delle capacità produttive interne all’Europa dirette a questi modelli.

Quindi anche l’ambiente ne soffrirà.

Infine, ma non di minore rilievo, è l’impatto sociale della carenza di modelli a basso costo.

Ricordando che in Europa l’automobile non è sostituibile se non marginalmente da altri modi di trasporto, la conversione all’elettrico può essere davvero molto penalizzante per le categorie a reddito medio-basso. Sembra dunque che per questo settore occorra una valutazione molto attenta dei costi e dei benefici attesi di una politica di dazi esterni e sussidi interni.