
Luglio 2025
di Marco Ponti
La vicenda del ponte sullo Stretto di Messina ha riacquistato attualità politica con il governo Meloni, in quanto il ministro dei trasporti incaricato, Matteo Salvini, ne ha fatto una priorità assoluta del dicastero, proponendolo come strategico per lo sviluppo delle regioni interessate, dell’intero Mezzogiorno e persino del paese.
Senza risalire al ponte di barche proposto dai romani, vale però la pena di ripercorrere l’iter politico e tecnico più recente del progetto.
Entra di prepotenza tra le 19 “grandi opere” presentate da Berlusconi alla lavagna di Bruno Vespa all’inizio degli anni 2000, inaugurando la stagione delle infrastrutture come strumento di consenso politico-elettorale.
Coerentemente, il progetto non era preceduto da alcuna analisi tecnica o economica che lo supportasse: il fine era cambiato, (è il consenso elettorale) e questo cambiamento risulterà durevole, come vedremo.
Comunque qualche analisi era necessaria, e molto lodevolmente fu indetta una gara internazionale per una valutazione economica indipendente, secondo una prassi consolidata per esempio alla Banca Mondiale (iniziativa che non verrà mai più ripetuta).
Il bando iniziale richiedeva una analisi costi-benefici, anche questo secondo un approccio internazionale consolidato. Un gruppo inglese molto qualificato preparò un’offerta, ma, dopo breve, la dizione “costi-benefici” sparì, sostituita da una più generica e meno severa “analisi economica”. Non si volevano correre rischi, e infatti vinse un gruppo italiano politicamente più affidabile, che si attenne alla nuova formulazione.
I risultati tuttavia furono solo moderatamente favorevoli, ma successivamente il ministero dei trasporti ripropose una versione propria, metodologicamente fantasiosa, che dava risultati ben più solidi.
Una analisi indipendente con risultati negativi ebbe tuttavia un forte impatto mediatico.
Con la caduta del governo Berlusconi, quello di centro-sinistra successivo finì per condividere praticamente tutte le ”grandi opere” ad esclusione del Ponte, non certo a causa di nuove valutazioni, ma in quanto progetto-bandiera di Berlusconi.
ll governo Monti infine cancella l’opera, liquidando anche la società Stretto di Messina, che era stata costituita anni prima per gestire l’operazione, e cancella anche i risultati della gara che era stata fatta per la costruzione del ponte, vinta non casualmente da un consorzio italiano.
I vincitori presentano un ricorso legale per danni multimilionari, che tuttavia perdono in primo appello, ma che rimane pendente (fino alla sanatoria salviniana)
Successivamente nel 2021 emerge una nuova analisi, commissionata del Ministero dei trasporti, molto dettagliata ma non del tipo costi-benefici, che analizza i traffici attuali e le possibili soluzioni tecniche dell’opera, e considera anche alternative radicali (per esempio, un ponte a tre campate con pilastri “in alveo”).
Il progetto originale infatti prevede un ponte sospeso a campata unica di tre chilometri di luce, con transito ferroviario, che dà luogo ad un’opera assolutamente mai sperimentata su queste dimensioni.
Il ministro Salvini tuttavia ritiene sia di non rivedere l’opera, sia che sia troppo rischioso continuare il contenzioso con i costruttori, e appena insediato riaffida il progetto allo stesso raggruppamento, e ri-insedia la società Stretto di Messina.
Mantiene anche i costi previsti entro una maggiorazione che non supera il 50%, in termini reali, rispetto ai costi previsti al tempo della gara contesa (di molti anni precedente).
Un superamento di quella soglia infatti farebbe scattare l’obbligo europeo di ripetere la gara, e quindi i costi previsti vengono “congelati” in 13,5 miliardi, e questo addirittura prima che sia redatto un computo metrico dell’opera, base quantitativa indispensabile per qualsiasi stima di costi di opere civili.
In caso di opere di questo tipo infine la casistica internazionale registra costi che in media superano i preventivi del 25%, ma per un’opera così innovativa questi rischi sono probabilmente molto maggiori della media.
Certo il problema non riguarda l’impresa che costruisce: una volta avviati i cantieri, qualsiasi interruzione dei finanziamenti che comportasse una sospensione dei lavori darebbe, correttamente, luogo a indennizzi pieni, aumentando i costi totali dell’opera.
Costi sui quali esiste un mark-up riconosciuto contrattualmente, quindi un aumento dei profitti di impresa.
Cioè il fenomeno dello “stop and go” che affligge la gran parte delle opere pubbliche, notoriamente non preoccupa i costruttori. L’importante è che si aprano i cantieri.
Cerchiamo ora di rispondere alla fondamentale domanda: il ponte serve o non serve? Cioè può generare benefici sociali superiori ai costi?
Dell’opera è stata effettuata recentemente un’analisi “costi-benefici sociali”, commissionata dalla rinata società Stretto di Messina, e quindi certamente non neutrale.
Assumendo necessariamente i costi ufficiali che abbiamo illustrato, i risultati dell’analisi risultano moderatamente positivi. E “moderatamente” significa che anche un superamento contenuto dei costi oggi previsti, farebbe diventare negativi i risultati dell’analisi ufficiale
Si noti per inciso che in Italia non si danno casi di analisi costi-benefici con risultati negativi nel settore dei trasporti, fatta eccezione per alcune redatte nel 2019 dallo scrivente, ma immediatamente sconfessate dal ministro allora in carica, che pure le aveva commissionate.
D’altronde, l’impegno politico per la neutralità delle analisi è in Italia tale che per i progetti infrastrutturali del PNRR queste sono state commissionate addirittura allo stesso soggetto destinatario dei fondi, con risultati sempre molto positivi.
Tornando al Ponte, l’analisi ufficiale è stata sottoposta ad un’audit indipendente (e autofinanziata) da BRT onlus, associazione specializzata nel settore, che ha constatato una serie di assunzioni straordinariamente ottimistiche, soprattutto per gli aspetti ambientali: i benefici socioeconomici risultano inferiori ai costi, anche se in misura meno drammatica che per altri casi, come vedremo.
In particolare, qualora si togliesse la percorribilità ferroviaria ci si avvicinerebbe ad un risultato positivo, sempre se il preventivo dei costi fosse rispettato.
Infatti la percorribilità ferroviaria genera costi rilevanti a causa della maggiore rigidità richiesta all’opera, senza che sia previsto molto traffico, quindi a fronte di una quota ridotta dei benefici rispetto a quelli generati dal traffico stradale.
Che, si ricorda, per un’opera di questo tipo sono soprattutto risparmi di tempo di viaggio per merci e passeggeri, e benefici ambientali da ridotte emissioni del trasporto stradale.
Ma l’analisi mette anche in luce che la maggior parte del traffico prevedibile è di tipo locale, e stradale, per ragioni abbastanza ovvie.
Vediamole in sintesi: il traffico di lunga distanza delle merci continuerà ad andare prevalentemente via mare, e quello passeggeri via aereo (i tempi di viaggio rimarranno infatti invincibili, sia per le auto o i bus che per la ferrovia).
E questo è un risultato relativamente ovvio, se si considera che sui viaggi lunghi, sia merci che passeggeri, la riduzione percentuale di tempi e costi consentita dal Ponte è tanto più piccola quanto maggiore è la distanza percorsa.
Se si risparmia un’ora per andare da Messina a Reggio Calabria è un beneficio rilevante, per un viaggio che dura dieci ore o più è a malapena percettibile.
Quindi risultano prive di fondamento sia le affermazioni politiche che l’opera abbia una grande valenza nazionale, sia che abbia effetti rilevanti sullo sviluppo economico delle due regioni direttamente interessate.
Vi sono certo benefici, ma non tali da potersi definire “strategici”, cioè tali da non essere misurabili con analisi costi-benefici “canoniche”, che pure valutano anche effetti, quali risparmi di tempo per i passeggeri e benefici ambientali, che impattano sul benessere collettivo, ma non direttamente sulla crescita economica.
Quindi anche le ripetute affermazioni del ministro Salvini sulla crescita di posti di lavoro che sarebbero indotti dall’opera al di là di quelli diretti per sua realizzane, appaiono prive di solidi fondamenti (si erano spinte fino a prevedere 130.000 unità lavorative).
E si tratta comunque di occupazione temporanea, considerazione che vale per ogni opera infrastrutturale, e in questo caso per un’opera ad alta intensità di capitale, e con mano d’opera molto specializzata, quindi non necessariamente locale.
Veniamo ora a segnalare i problemi costruttivi e di sicurezza dell’opera, citando le maggiori perplessità emerse da tecnici sicuramente qualificati del settore (lo scrivente lo è solo molto parzialmente).
Il problema principale è la presenza di una rilevante faglia sismica, soprattutto sul lato calabrese, che viene giudicata “non attiva” dai promotori, nonostante il sisma e maremoto catastrofici verificatisi nel 1908, con decine di migliaia di vittime.
Un altro aspetto molto critico è la flessibilità dell’impalcato, molto sottile rispetto all’eccezionale lunghezza (3.300 metri), mai sperimentato soprattutto per ponti ferroviari. Il rischio è che si verifichino forti vibrazioni, con pericoli di dover interrompere spesso il transito dei treni.
Anche gli effetti dei venti, molto intensi sullo Stretto, possono generare problemi inattesi.
E comunque il fatto stesso che si tratti di una dimensione mai prima realizzata al mondo (in particolare per ponti sospesi con transito ferroviario) sembra di per sé fonte di incertezze tecniche. In particolare per quanto riguarda il comportamento dei cavi di sostegno e i fenomeni di presa del cemento nelle fondazioni dei pilastri, alti più di 300 metri.
Nessuno di questi problemi rende verosimile un crollo dell’opera, ma molto verosimile la necessità di interventi successivi, con forti aumenti dei costi e interruzioni anche estese dell’agibilità del ponte.
Per concludere, vediamo ora come si sviluppa l’attuale dibattito politico sull’opera, certo fatta propria dall’intera maggioranza con molto concrete erogazioni di fondi iniziali, tali da garantire l’avvio dei cantieri, condizione che abbiamo visto essenziale per gli interessi dei costruttori.
Rinunciamo ad approfondire la recentissima ipotesi che il ponte possa avere rilevanza militare, in quanto al di là anche del senso comune.
L’opposizione, in particolare del PD, si dichiara da subito e vivacemente contraria all’opera, ma non certo per dubbi sulla sua utilità economica o sul suo peso finanziario sulle casse pubbliche (i costi sono previsti tutti a carico dell’erario, come sempre per le opere ferroviarie).
E non potrebbe portare argomenti di questo tipo, visto che ha approvato senza opporre obiezioni un progetto la cui tratta iniziale è entrata nel PNRR con un costo previso di 7 miliardi, ma per un costo totale compreso tra i 22 e i 27 miliardi, circa come due ponti di Messina.
Questo progetto, correlato funzionalmente con il ponte di cui trattiamo, è il raddoppio ad Alta Velocità della linea Salerno – Reggio Calabria, in corso di velocizzazione, e lontana dalla saturazione.
Il traffico prevedibile sarebbe esiguo, dell’ordine di 50 treni al giorno su una capacità di 300, e non ne è stata fatta, prima di approvarlo, alcuna analisi economica, mentre quella per la prima tratta è stata affidata allo stesso destinatario dei fondi, FSI, in clamoroso conflitto di interessi.
I risultati dell’analisi per la prima tratta appaiono indifendibili, e comunque l’intero progetto Salerno- Reggio AV è stato di fatto cancellato “per ragioni di non fattibilità tecnica della tratta centrale”. Questo, in un assordante silenzio mediatico e politico. Il progetto sembra accantonato, e di questo forse ci si può rallegrare.
La razionalizzazione delle scelte di spesa in infrastrutture non sembra certo una priorità, mentre è altrettanto certo il loro uso “bipartisan” come strumento di consenso politico a breve termine.
Va notato che le infrastrutture di trasporto, che hanno tempi lunghi di realizzazione, si prestano ottimamente a questo uso, come conferma anche una vasta letteratura internazionale, perché i decisori non saranno comunque chiamati a rispondere né di extracosti né di traffici lontani dalle previsioni.