5 settembre 2022
di Francesco Ramella
Distinti e distanti su quasi ogni altro tema della campagna elettorale, gli schieramenti che si confrontano alle elezioni sembrano curiosamente avere una posizione che li accomuna in tema di infrastrutture. Il centrodestra vuole: “il potenziamento della rete dell’alta velocità per collegare tutto il territorio nazionale dal Nord alla Sicilia”. Azione e Italia Viva si propongono di: “completare l’AV nel mezzogiorno” così come il PD che promette di “completare le tratte ferroviarie ad alta velocità e alta capacità già programmate” Il M5s, più genericamente, punta alla: “riduzione del gap infrastrutturale tra i territori”.
Nel programma di Azione viene esplicitata la motivazione di tale posizione: “nel periodo 2008-2018 nelle città intorno alla rete dell’AV il PIL è cresciuto del 7-8% in più di quelle fuori dal servizio”. È sufficiente questo per dire che le infrastrutture sono, come ripetuto da moltissimi, “un volano per l’economia”? No. Occorre in primo luogo notare che lo studio cui si fa riferimento non dimostra che vi sia una relazione causale tra l’essere connessi alla rete AV e la crescita; si tratta di una semplice correlazione. E se andiamo a vedere nel dettaglio scopriamo che la crescita nelle province il cui capoluogo è sede di una stazione dell’AV non è affatto omogenea: tra il 2008 e il 2018 il PIL a prezzi correnti è aumentato del 21,9% a Bologna, 18,0% a Milano, 12,8% a Firenze, 8,5% a Torino, 8,1% a Salerno, 7,3% a Reggio nell’Emilia, 6,0% a Roma e dello 0,3% a Napoli.
La Provincia italiana che nello stesso periodo ha conosciuto il maggiore sviluppo è Bolzano il cui capoluogo dista più di 250 km dalla rete AV e il cui PIL ha fatto segnare un + 28,7%.
Si può dunque crescere molto (almeno in termini relativi) senza l’alta velocità e non crescere affatto pur essendovi collegati.
Sappiamo che l’Italia cresce poco perché aumenta molto lentamente la produttività. Una metanalisi pubblicata qualche anno fa sulla rivista Research in Transportation Economics che raccoglie le evidenze emerse da oltre settecento stime del legame tra investimenti in infrastrutture e produttività mostra come esso sia molto variabile e che, quanto più la stima è accurata, tanto più il nesso diventa evanescente fino a scomparire.
Se dal generale passiamo allo specifico dell’Italia meridionale, il quadro non cambia.
Emanuele Ciani, Guido de Blasio e Samuele Poy, ricercatori della Banca d’Italia, hanno pubblicato un articolo scientifico nel quale viene indagato il rapporto causale tra realizzazione dell’autostrada Salerno – Reggio Calabria e sviluppo economico. La conclusione degli studiosi è che l’infrastruttura ha riorganizzato in misura significativa l’assetto produttivo e residenziale interno ma non ha avuto alcun impatto sulla crescita della Calabria nel suo complesso.
Perché ci si dovrebbe aspettare un esito diverso dalla AV Salerno – Reggio Calabria, un’opera che costerà – a preventivo – 22 miliardi (tutti a carico della finanza pubblica) e migliorerà una quota marginale degli spostamenti degli abitanti della Regione? A utilizzare la nuova infrastruttura saranno verosimilmente poco più di diecimila passeggeri al giorno: nulla cambierebbe per la quasi totalità degli spostamenti dei due milioni di residenti né per la movimentazione delle merci.
Le valutazioni sopra sintetizzate sul complicato rapporto tra strade, ferrovie e crescita sono state prodotte ex-post. Ma è possibile avere un’indicazione almeno ex-ante di quale potrà essere l’effetto di una nuova opera? Sì, predisponendo analisi costi-benefici accurate. Tale metodologia considera sia gli effetti diretti per chi utilizza l’infrastruttura che quelli indiretti, in particolare sull’ambiente.
I benefici diretti vengono stimati come differenza tra la disponibilità a pagare degli utenti e il prezzo del servizio. E la disponibilità a pagare riflette, oltre che la migliore qualità del viaggio, la maggiore produttività che può essere ottenuta grazie alla riduzione del tempo di spostamento.
Una nuova infrastruttura contribuisce quindi positivamente alla crescita se tale maggior produttività creerà più ricchezza di quanta ne viene impegnata nella sua costruzione e gestione.
A differenza di quanto accade in un Paese nelle prime fasi di sviluppo, oggi questa condizione in Italia e in Europa è più l’eccezione che la regola e riguarda soprattutto le opere realizzate nelle aree urbane maggiori dove più elevati sono i livelli di congestione e i potenziali effetti di agglomerazione. Non lo è là dove, come nel caso della Salerno – Reggio Calabria o del raddoppio della Roma – Pescara, il costo è molto elevato (quasi un punto di debito pubblico) anche in ragione della presenza di molte tratte in galleria e la prevedibile utenza assai limitata.
Si può aggiungere che, se gli effetti complessivi saranno negativi, è prevedibile che queste e altre simili opere non serviranno a ridurre i divari territoriali: la letteratura economica ci dice che, spesso, a giovarsi maggiormente di migliori collegamenti è il centro più forte che attrae risorse umane ed economiche a scapito di quello più debole.
Si deve infine sottolineare che lo stesso risparmio di tempo reso possibile dalla nuova linea tra Salerno e Reggio potrebbe essere conseguito mediante interventi di ammodernamento della ferrovia esistente dal costo di “soli” quattro miliardi.
Sembra quasi che l’obiettivo che ci si prefigge non sia la massimizzazione della crescita ma quella della spesa pubblica.